Il neopresidente del Nicaragua s’ispira a Chávez ma è in
ottimi rapporti con il Fmi
Il Nicaragua ha eletto per la terza volta il
presidente uscente Daniel Ortega, l’ex guerrigliero sandinista che nel 1979
sconfisse la dittatura di Somoza e che, dopo avere sbaragliato i paramilitari
Contras finanziati dalla Cia, aveva già governato il Paese tra 1985 e 1990.
Scontata la sua larga vittoria di ieri, già al primo turno e con il 62% dei
voti. Adesso questo discusso leader che si ispira a Marx ma scende a patti con esponenti
della destra ha davanti a se altri cinque anni di potere. Accusato in passato
di violenza carnale da una figlia, in teoria impossibilitato a ricandidarsi
dalla Costituzione - che nel suo caso non è stata applicata - il 65enne Ortega,
soprattutto sul fronte internazionale, continua a essere «di sinistra». Su
Gheddafi e l’intervento Nato in Libia, ad esempio, ha tenuto la stessa
posizione di Fidel Castro. Per motivi ideologici, ma forse anche perché uno dei
suoi principali consiglieri è Mohamed Lashtar, 51enne cugino del Colonnello.
Per anni Mohamed ha curato i flussi di denaro tra Tripoli e Managua. E domenica
è stato eletto in Parlamento.
Sandinista sì ma in rottura con quasi tutti i
fondatori originari del «Frente», il presidente riconfermato mantiene rapporti
buoni sia con il Fondo Monetario Internazionale sia con Taiwan, la bestia nera dell’emergente Cina, che ha aperto al mercato
ma resta pur sempre comunista. Di certo il trionfo di Ortega è stato favorito dai
due miliardi di dollari che il presidente Chávez ha fatto scivolare nelle sue
tasche - qualcosa come il 7,6% del Pil del Nicaragua, dove il 78% della
popolazione vive con due dollari al giorno - tra il 2007 e oggi, ovvero durante
la sua ultima presidenza. Il timore di una sua sconfitta e della chiusura del
rubinetto venezuelano ha influito certamente molto sugli elettori, beneficiati
dai progetti assistenziali di Ortega, comprese le vacche che il suo governo ha donato,
a centinaia, ai poverissimi contadini nicaraguensi.
Il pragmatismo Ortega l’ha dimostrato però
soprattutto sul fronte interno, dove ha fatto alleare il «suo» Frente
sandinista con chiunque fosse disposto a governare con lui, a prescindere dall’ideologia.
Dai gruppi dissidenti liberali ai conservatori, passando per un partito
democristiano e uno evangelico, persino una frazione dei suoi nemici per
eccellenza, i Contras, alla fine l’hanno appoggiato.
L’altro elemento decisivo
per la sua riconferma è stato l’alleanza con la Chiesa cattolica locale, come
ha confermato a poche ore dal voto l’appello fatto durante una messa dal Cardinale
Miguel Obando a tutti i fedeli perché votassero a favore del candidato
«antiabortista», ovvero Ortega. Il Nicaragua del sandinista Ortega oggi è il
Paese con le leggi antiabortiste più dure del mondo, con pene che arrivano fino
a sei anni di carcere per le donne che interrompono la gravidanza e otto per i
medici che le assistono. E l’aborto terapeutico
nei casi di rischio di morte della madre, una pratica comune nel 98 per cento
dei Paesi membri delle Nazioni Unite, nel Nicaragua governato dall’ex guerrigliero
sandinista è vietato.
La Stampa, 8 novembre 2011,
pag.21
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