alimentazione

Quando mangiano in mensa altrimenti la frutta resta nel piatto

Il pranzo è anche un momento di socialità in cui parlare con i compagni e serve non solo a nutrirsi ma per godere del cibo

di Alice Vigna


  Per mangiare serve tempo. Anche e soprattutto ai bambini nelle mense scolastiche: se si può stare a tavola non più di venticinque minuti la qualità del pasto peggiora non poco perché i bimbi scansano più spesso frutta e verdura e non finiscono i piatti, con un effetto negativo sull’apporto di nutrienti importanti per la salute. Lo dice una ricerca pubblicata sul Journal of the Academy of Nutrition and Dietetics, condotta negli Stati Uniti su mille studenti delle scuole elementari e medie: quando i bambini avevano venti minuti o ancor meno tempo per il pasto, sceglievano di mangiare un frutto quattro volte su dieci anziché sei su dieci, come accadeva invece in chi aveva almeno venticinque minuti per stare a tavola. Mangiando in fretta, stando ai dati raccolti, i piccoli lasciavano poi più cibo nel piatto e spesso si trattava delle verdure.


Mangiare troppo in fretta riduce il senso di sazietà

 «Se il tempo dedicato alla mensa è troppo scarso il rischio che vengano a mancare nutrienti essenziali per un’alimentazione sana ed equilibrata è concreto  haspiegato Juliana Cohen, autrice dell’indagine e docente al Dipartimento di nutrizione della Harvard Chan School of Public Health di Boston –. Inoltre,mangiare troppo in fretta riduce il senso di sazietà: questo può portare i bambini ad avere presto fame dopo il pranzo e quindi ad abbuffarsi, magari di cibi meno sani, alla prima occasione possibile». 
   Va detto che si tratta di una ricerca statunitense, condotta cioè su mense ben diverse dalle nostre: in Italia i bambini vengono serviti al tavolo e hanno quindi mediamente un po’ più di tempo per mangiare, al di  dell’oceano invece devono andare da soli a prendere il cibo perdendo inevitabilmente minuti preziosi. Pur tenendo conto delle differenze, poter pranzare con relativa tranquillità è tuttavia un’esigenza reale da soddisfare, come conferma Giuseppe Di Mauro, presidente della Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (SIPPS): «Il pranzo in mensa deve essere un momento di socialità in cui parlare con i compagni. La pausa non serve solo per nutrirsi ma anche per godere del cibo, dei suoi colori, del gusto,della varietà delle portate: per farlo occorre tempo».


Secondo molti genitori i piatti non piacciono

  Resta il fatto che, minuti concessi a parte, le mense scolastiche sono spesso accusate di non dare cibo di qualità ai bambini: i piatti, secondo molti genitori, vengono lasciati a metà non tanto perché non c’è il tempo per mangiarli quanto perché non sono graditi. Che fare in questi casi? «Mamme e papà innanzitutto possono e devono chiedere alla scuola di fornire una programmazione dei pasti elaborata da un nutrizionista, in modo da essere sicuri che ci sia una rotazione adeguata delle portate e che la composizione dei pranzi sia equilibrata nei nutrienti fondamentali – risponde Di Mauro –. Questo tranquillizza i genitori ed è uno stimolo per chi deve fornire i pasti a migliorare l’offerta, che chiaramente deve essere di buona qualità». L’ideale sarebbe usare prodotti biologici a filiera corta per piatti poco elaborati, i più amati dai piccoli; quando nonostante tutto i figli fanno gli schizzinosi, secondo il pediatra non bisogna comunque abbandonare la mensa. «Le mamme non dovrebbero chiedere di portare a casa i bambini per il pranzo, né dare ai propri figli il pasto da portare a scuola», spiega lo specialista. « Questo perché è difficile che i genitori siano in grado di comporre sempre menu bilanciati, in più non è bene che ci siano differenze fra gli alunni di una stessa classe: difficile credere che non si creino “turbolenze” se qualcuno arriva con una pietanza golosa. I bambini devono mangiare tutti assieme gli stessi piatti; naturalmente è un obbligo della scuola garantire, oltre che un intervallo sufficientemente lungo per la mensa, prodotti di qualità e ricette che siano appetibili e adatte ai bimbi», conclude il professor Di Mauro.

Corriere Della Sera, 19 ottobre 2015


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