Prevenzione.

 Ecco le malattie che possono essere  trasmesse dagli animali domestici. Non sono
molto frequenti ma sono numerose. Un nuovo studio Usa

Cani & gatti così evitiamo il contagio

Tina Simoniello

  Oltre 20 milioni di italiani convivono con almeno un animale. Quattordici milioni di cani e
gatti. Seguono pesci (4,9 milioni), tartarughe (4,7), uccelli (4,1), criceti e conigli (3,7). Oltre che di amicizia, i pet sono però portatori potenziali anche di malattie, come salmonella o escherichia coli. O di parassiti: vermi nematodi e toxoplasma. Malattie che raramente colpiscono individui sani, e quasi mai responsabili di esiti importanti. Per alcuni soggetti, invece, possono rappresentare un pericolo. Per trapiantati, adulti e bambini in chemioterapia, pazienti con un sistema immunitario compromesso, persone molto anziane e
debilitate, o in alcune condizioni come la gravidanza, le
infezioni trasmesse dagli animali
(zoonosi) rappresentano un rischio da tenere presente.

  La prevenzione delle zoonosi da animali domestici è l’argomento di uno studio di un team di ricercatori dell’Ohio State University che ha preso in esame 500 articoli pubblicati in tutto il mondo ed è uscito di recente sul Canadian medical association journal. Le conclusioni non propongono scelte drastiche. «Sono molto poche le condizioni patologiche nelle quali è sconsigliabile avere un animale domestico, se lo si desidera.  Basta far incontrare la specie giusta con la persona giusta e prendere delle appropriate precauzioni », spiega Jason Stull, dipartimento di Medicina veterinaria preventiva dell’ateneo Usa, primo autore dell’indagine. E invece «gli
studi dicono che i medici curanti non chiedono regolarmente se il paziente ha contatti con animali, né discutono i rischi di malattie zoonotiche, indipendentemente dallo
stato immunitario della persona». Insomma l’attenzione sulle zoonosi da pet, anche quella
degli specialisti, andrebbe implementata.

   «Le zoonosi da animali domestici sono rare — dice Giovanni Rezza, direttore del Dipartimento malattie infettive dell’Istituto superiore di sanità — non abbiamo numeri esatti per due ragioni: perché ci sono pochi studi e perché per attribuire all’animale domestico l’origine di una patologia bisogna escludere altre fonti, cosa non facile. Detto ciò, tra le più diffuse da noi c’è la febbre da graffio del gatto, un’adenofibropatia di origine batterica che si manifesta con una febbricola che passa da sé. Seguono scabbia e tigna trasmesse da gatti o cani e dovute a un parassita e a un fungo rispettivamente: entrambe fastidiose, che richiedono cure impegnative, ma non pericolose. C’è la toxoplasmosi, che invece è rischiosa per il feto, se la madre non immune consuma carne cruda infetta, ma anche se viene a contatto con le feci di un gatto portatore. Così come lo è per chi soffre di deficit del sistema immunitario, come per le persone con virus Hiv».

  «Le zecche - continua Rezza - veicolano invece la rickettsia, batterio che causa febbre
ed esantema (piccole lesioni emorragiche diffuse a mani e piedi). La salmonella, ospite
nell’intestino di diversi animali, negli individui sani causa non più che una diarrea. In chi
ha deficit immunitari o è in chemioterapia, il batterio può dilagare e causare sepsi. Infine
la psittacosi, polmonite dovuta al batterio Chlamydia psittaci presente in molti tipi di uccelli, come i pappagallini: gli esseri umani acquisiscono il microrganismo attraverso il contatto con gli escrementi e le piume». La prevenzione? «Mettere in atto comportamenti igienici adeguati», conclude l’esperto.

la Repubblica, 9 maggio 2015, pag 45

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