L’inglese si impara con il gioco (sfruttando
capacità innate)
Fino ai sei anni apprendere le lingue è naturale, basta farlo divertendosi Ma per ogni età è necessario un progetto educativo senza forzature
di
Elvira Serra
I
bambini si confondono quando intorno a loro si parlano più lingue?
No, hanno la capacità innata di discriminare i diversi suoni
linguisticiサ.
Apprendere due lingue richiede uno sforzo eccessivo per un bambino?
.No,
l'pprendimento delle lingue durante la prima infanzia e qualcosa di
naturale e privo di sforzo.
Questa capacità decresce a partire dalla fine della prima infanzia,
verso i 5-6 anni, fino all’adolescenza, intorno ai 12». Non a
caso, quella è l’età in cui le lingue straniere diventano materie
scolastiche al pari di matematica, storia, geografia e italiano:
difficile, a quel punto, trovarle «simpatiche». A meno che non
siano state vissute, prima, come un gioco.
Dubbi
e curiosità sul bilinguismo: quello vero, di chi ha un genitore di
un Paese straniero, e quello acquisito, di chi arriva alle scuole
medie disinvolto come un principe ereditario grazie a corsi, lezioni
private, vacanze ed esperienze all弾stero.
Le prime due domande del nostro articolo sono tra le ventidue più
frequenti del sito www.bilinguismoconta.it.
La responsabile della sede milanese è la psicolinguista Maria Teresa
Guasti. È lei a spiegarci quale deve essere, sempre, il punto di
partenza: la motivazione. Quella dei genitori si intuisce facilmente:
vogliono dare ai figli una marcia in più, uno strumento capace di
aiutarli a farsi strada nel mondo. Difficile, però, farlo capire ai
bambini, per i quali l’obiettivo principale nel loro germoglio di
vita (oltre a quello di
essere molto amati da mamma e papà) è
mangiare, dormire e giocare. Ecco perché Guasti avverte: «Se
imparare una nuova lingua significa giocare, allora i piccoli saranno
felici di farlo».
Filastrocche
e canzoni sono alleate infallibili. Ma non bisogna sottovalutare
l’effetto di una qualsiasi Peppa Pig in lingua originale. E se
esercizi, puzzle, giochi a tema vengono fatti su un tablet o su uno
smartphone, tanto meglio. «In questo caso il bambino sarà
instradato non soltanto al bilinguismo, ma a quello che a me piace
chiamare plurilinguismo: dove c’è l’aggiunta, cioè, del codice
digitale. Per tacere del fatto che nella galassia Internet non
accedere all’inglese significa restare esclusi da almeno il 90% dei
contenuti per l’infanzia», chiosa Paolo Ferri, autore di I
nuovi bambini (Rizzoli).
Oltre
alla motivazione di cui abbiamo scritto sopra, ci vuole metodo. Serve
un progetto educativo specifico per ogni et»,
avverte Susanna Mantovani, psicopedagogista dell’Università
Bicocca di Milano. Proprio per questo, a suo dire, è meglio un
insegnante dalla pronuncia un po’ così, ma dalle ottime doti di
educatore, di un perfetto madre lingua che non sa entrare in
relazione con i bambini. Aggiunge: «Un’ottima soluzione è
affidare i laboratori di arte, musica, scienze o tutte le attività
ricreative a persone straniere, perché saranno credibili e naturali:
per dire, un cuoco inglese può essere molto efficace. Non amo, per
esempio, quelle italiane che per vezzo o eccesso pedagogico parlano
ai figli in inglese o francese: è forzato, un bambino ha bisogno di
relazionarsi con i genitori nella lingua madre, appunto. La mamma non
è una maestra, la lingua ha a che fare con l’identità e con il
profondo».
Imparare
l’inglese o il francese o lo spagnolo o il tedesco vuol dire
apprendere un modo di emozionarsi, di esprimersi, di comunicare. «Si
impara una lingua da un punto di vista pratico, ma anche mentale: e
coincide con l’apprendimento di un nuovo modo di vedere le cose, un
altro punto di vista», aggiunge la psicologa Federica Mormando.
Ma
è fondamentale farlo in un contesto preciso. «È inutile imparare
meccanicamente: una seconda lingua prende significato all’interno
di una realtà di comunicazione di vita vera», puntualizza Carla
Rinaldi, presidente di Reggio Children, network educativo ormai
presente in oltre 120 Paesi del mondo che prese ispirazione dalla
«teoria dei cento linguaggi » del pedagogista Loris Malaguzzi.
«Tanti sono i modi per esprimersi dei bambini», conclude Rinaldi.
«È una nostra responsabilità stimolarli e aiutarli a sperimentarli
tutti».
Corriere
Della sera
Nessun commento:
Posta un commento