“Così la matematica è un gioco da ragazzi”

Primi test per il nuovo kit dell’azienda danese pensato per la didattica Ma gli esperti si dividono E c’è chi dice: niente gadget, torniamo ai simboli


Silvia Bencivelli


  Bastoncini colorati, cubetti, regoli, perline, abachi. Da che mondo è mondo, per insegnare la matematica mettiamo in mano ai bambini un giocattolo. Un giocattolo essenziale, pensato per spiegare somme e sottrazioni prima di cominciare a scriverle coi simboli. Per questo la novità che arriva dalle campagne inglesi fa discutere insegnanti, genitori, presidi ed esperti di didattica. Perché oggi, nelle scuole della verde contea dello Shropshire, sono arrivati i giocattoli con la griffe.

  La firma è della Lego, che tramite il suo braccio didattico Lego Education si prepara a lanciare sul mercato MoreToMaths: un kit di mattoncini pensato per fare matematica alle scuole elementari. 
È grande l’entusiasmo tra i bambini della Birchfield School, che per primi stanno giocando (pardon: imparando) grazie al gioco di costruzioni più famoso del mondo. È un po’ meno grande l’entusiasmo di chi si prepara ad aprire il portafogli, visto che un kit completo di software, guida per l’insegnante e piano didattico (e di mattoncini, ovviamente) costa 750 sterline, quasi mille euro. Mentre nessuno ha mai impedito di usare in classe i mattoncini normali, quelli dichiaratamente venduti come giocattoli e per poche lire, che gli insegnanti sono capaci di gestire da sé.

  Ma la Lego si difende: un’impresa ha il diritto di mettere sul mercato quello che vuole. E poi, come ha spiegato al Guardian René Lydiksen, consigliere delegato della Lego Education Europe, «le
preoccupazioni sono comprensibili, visto che siamo parte di un’azienda che produce giocattoli. Ma l’agenda della Lego education è tutta concentrata sulla didattica». Per esempio, prosegue Lydiksen, si è lanciata sulla matematica proprio quando i programmi scolastici britannici si sono fatti più esigenti, e forse non alla portata di tutto il corpo docente: «I bambini sono esposti a così tanta tecnologia che oggi hanno bisogno di qualcosa di più, e noi dobbiamo essere pronti a darglielo».

Anche su questo i pareri sono discordanti. Che cosa significhi «di più», e quanto siano davvero cambiati i bambini, per esempio. Nel mondo degli educatori c’è persino chi mette in discussione la necessità di usare oggetti per insegnare ai bambini a contare, e la necessità di proporre un compito in forma giocosa per attirare la loro attenzione. Ma a ben vedere si usano oggetti e immagini colorate anche per imparare a leggere e a scrivere, quando il sussidiario di prima elementare propone di scrivere la «C» accanto a un’immagine della casa che aiuta a ricordarsi la differenza con la «G» di gatto. Insomma: forse non è tanto nel mattoncino colorato, la rivoluzione dell’insegnamento, e nemmeno nel dibattito scientifico su come si insegna. Quanto nello sbarco di oggetti tanto costosi nella dotazione delle scuole elementari di Inghilterra.
 
  Del resto, anche in Italia c’è già chi usa i Lego per avvicinare i bambini alla scienza. Per esempio, Marco Delmastro, fisico del Cern di Ginevra, blogger e divulgatore, che all’ultima edizione di Lucca Comics, il festival del fumetto più famoso d’Italia, ha spiegato le particelle subatomiche montando strutture di mattoncini. E in diverse altre occasioni ha fatto costruire a gruppi di bambini persino dei
coloratissimi acceleratori di particelle. Finti, ovviamente, ma ottimi per cominciare a sognare
un futuro da scienziato.

  È probabile quindi che la verde contea dello Shropshire non passerà alla storia per aver cambiato la didattica. Si accontenterà di aver cambiato la scienza. Visto che fu proprio lì che due secoli fa, senza giocattoli o mattoncini colorati, imparò a contare uno scolaro di nome Charles Darwin.

 Polemiche anche sui costi: servono quasi mille euro per ogni classe

La Repubblica, 13 gennaio 2014




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