Chirurgia fetale Per
rimediare all’ernia diaframmatica
L’operazione alla 28esima
settimana
di Riccardo Renzi
È possibile perché il paziente in pericolo ha
una fisiologia diversa dalla nostra, non respira ancora. Perché la vita in
questione è quella di un feto di 28 settimane.
Si tratta di un intervento nuovo per l’Italia
e recente, non più di 10 anni, nel mondo. Serve a tentare di risolvere le
conseguenze di una malformazione dello sviluppo fetale, l’ernia diaframmatica,
che può colpire un bambino ogni 3 mila nati.
Poiché in Italia i nati ogni anno sono circa
600 mila, sono 200 all’anno i feti che presentano questo problema.
L’emergenza da affrontare è costituita da
un’apertura, un foro, nel diaframma, il muscolo che separa il torace
dall’addome. Tale apertura provoca la «risalita» dei visceri nella cavità
toracica.
Questo spostamento avviene a danno dei polmoni,
organi particolarmente delicati nel feto, che vengono compressi e rischiano di
non svilupparsi a sufficienza.
Nella maggior parte dei casi, i bambini che
presentano questa anomalia, identificata grazie all’ecografia, vengono operati
subito dopo la nascita. Per questo intervento molti Centri italiani sono
preparati e attrezzati. Nei casi più gravi, quelli in cui per il feto le
probabilità di arrivare a termine sono molto basse, si può tentare di
intervenire prima della nascita. In questo caso c’è un solo Centro, in Italia,
la Clinica Mangiagalli di Milano, che può farlo.
Operiamo in fetoscopia — spiega Nicola
Persico, chirurgo fetale della Mangiagalli—. Inseriamo cioè una sonda (simile a
quelle che si usano in neurochirurgia), dotata di telecamera, attraverso
l’addome della mamma e la bocca del bambino. Il feto viene
"addormentato" con un’iniezione, la sua prima puntura nella natica.
Quando arriviamo alla trachea, viene espulso e gonfiato un palloncino, che va a
occludere il passaggio e impedisce che i liquidi polmonari fuoriescano.
L’accumulo di fluidi all’interno dei polmoni li mantiene in espansione. Il
palloncino viene inserito alla 28esima settimana e verrà poi tolto, con la
stessa procedura alla 34-35esima settimana, poco prima del parto».
È stato appunto Nicola Persico, ginecologo,
studi a Bologna, a «importare» in Italia questa tecnica dopo quattro anni di
specializzazione a Londra sotto la guida di Kypros Nikolaides, guru
internazionale della chirurgia fetale.
Affiancato da una altrettanto giovane
ricercatrice, Isabella Fabietti, e coadiuvato da una squadra di
chirurghi-pediatri, neonatologi e anestesisti della Mangiagalli, ha organizzato
un nuovo servizio ospedaliero specializzato nella più delicata delle chirurgie.
«Abbiamo cominciato da poco più di un anno —
dice Persico — e siamo soddisfatti dei risultati. Nel primo anno abbiamo fatto
10 interventi, tanti, considerando che gli altri tre Centri europei che
utilizzano da tempo questa tecnica (a Londra, Barcellona e Leuven, in Belgio) ne
fanno 12-15 all’anno. Anche i risultati sono in linea con quelli degli altri
Centri: trattandosi di casi molto gravi, c’è una sopravvivenza del 60%. Se non
si intervenisse, potrebbero farcela al massimo 3 su 10: in pratica questa
tecnica raddoppia la sopravvivenza».
Ma quanto soffre il feto? «Non so rispondere
per quel che riguarda la sofferenza esistenziale, — dice Persico —, ma il
dolore fisico certamente lo sente. Per questo operiamo in anestesia».
La cura «precoce» dell’ernia diaframmatica è
così diventato il secondo intervento più frequente eseguito nel Centro di
chirurgia fetale della Mangiagalli, uno dei tre esistenti in Italia.
L’intervento più comune riguarda un non raro
problema che affligge i gemelli monovulari: alcuni di essi presentano uno
squilibrio nella circolazione sanguigna, per cui uno dei due gemelli «assorbe»
troppo sangue a scapito dell’altro, ma con gravi conseguenze per entrambi.
In questi casi il chirurgo fetale interviene
a bloccare alcuni vasi bruciandoli con una sonda laser. Lo stesso strumento
viene impiegato per bloccare la vascolarizzazione di rari tumori, scoperti attraverso
l’ecografia. In altri casi il chirurgo interviene inserendo un tubicino che
favorisce il drenaggio in caso di versamento toracico.
Come si vede la chirurgia fetale che ha a
tutt’oggi una validazione internazionale è basata su interventi relativamente
«dolci», meno traumatici possibile. Molte tecniche sono in sperimentazione (per
la spina bifida, la vescica, persino sul cuore), ma non ancora certificate da
studi definitivi.
«Per ora quello che si fa è soltanto la punta
di un iceberg — precisa Fabio Mosca, direttore della Neonatologia e Terapia
intensiva neonatale della Mangiagalli —. Ma è già qualcosa, perché salviamo
delle vite, ottenendo non miracoli ma significativi miglioramenti. Abbiamo intanto
dimostrato che in Italia si può fare e sappiamo farlo, grazie al lavoro di
équipe multidisciplinari. Almeno per quel che riguarda l’ernia diaframmatica
sono finiti i viaggi della speranza e questo è per noi motivo di orgoglio. E
vorrei ricordare, di questi tempi ci sembra giusto, che tutto è gratuito, a
carico del Servizio sanitario e che per le famiglie che vengono da fuori Milano
abbiamo organizzato centri di accoglienza, supportati dalle organizzazioni di
volontariato».
Corriere della Sera, 23 giugno 2013, pag, 52
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