Quando la neo-mamma è troppo triste


Il Baby blues dura pochi giorni. Se l’umore non migliora, si rischia di cadere in depressione. Ecco come chiedere aiuto

Un disturbo sottovalutato ma prevenirlo si può

di Caterina e Giorgio Calabrese

 
È un disturbo molto più diffuso di quanto immaginiamo. Colpisce il 19% delle neomamme, il 9,1% nei casi più gravi. La depressione post-partum è una malattia segreta, spesso sottovalutata, che può avere conseguenze devastanti sia sulla donna sia sullo sviluppo fisico e cognitivo del bambino. Prevenirla si può, conferma Mariano Bassi, direttore di Psichiatria 2 all’ospedale Niguarda Ca’ Granda di Milano.

1 - Baby blues. Scatenato dal classico ottovolante biologico-ormonale al quale sono sottoposte le puerpere con repentini cambiamenti nei livelli di estrogenici e progestinici è caratterizzato da un’alterazione del normale
tono dell’umore. Insorge nell’85% delle gravidanze, nei primi giorni successivi al parto, ma di norma nel giro di due settimane scompare. Se il malessere si protrae e ha un’intensificazione dei sintomi depressivi, meglio rivolgersi a uno specialista.

2 - Depressione post-partum. A differenza del Baby blues, è una vera e propria depressione maggiore, che insorge nelle dodici settimane successive al parto e ha una sintomatologia importante, caratterizzata, oltre che dall’umore deflesso, da disturbi del sonno o dell’appetito, da apatia o difficoltà a intraprendere le solite azioni quotidiane o i propri interessi. In certe situazioni gravi, non diagnosticate o trattate, può portare la donna addirittura a idee di morte.

3 Il marito o partner. È estremamente importante sia per individuare i primi sintomi sia nella fase di prevenzione
o terapia, al punto che molti interventi si svolgono alla sua presenza, in coppia.

4 Prevenzione primaria. Si occupa della popolazione generale delle gestanti, con operazioni di promozione attraverso opuscoli informativi, incontri di sensibilizzazione o la presenza di psicologhe ai gruppi di preparazione al parto.

5 Le immigrate. La particolarità del centro di Niguarda è che lavora anche sulle migranti. Donne che spesso non riescono ad accedere ai servizi specialistici, per ragioni socio-culturali e linguistiche. Sono presenti gruppi in lingua araba e spagnola, con mediatrici culturali che favoriscono il dialogo, e il prossimo anno dovrebbe attivarsi anche un gruppo in lingua cinese. Il rischio di sviluppare una depressione grave è per le migranti maggiore delle italiane, a causa della fatica e dello stress del processo di acculturazione che determina una forte distanza fra la cultura originaria della gestante straniera e quella dominante di un Paese occidentale come l’Italia.

6 Prevenzione secondaria. A Niguarda si fa uno screening sulle donne che si presentano o vengono inviate al centro per individuare quelle a maggior rischio di depressione. A loro si offre un pacchetto di colloqui a fini psicoterapici ma anche un supporto di tipo sociale per aiutarle nei problemi pratici, anche di tipo abitativo o economico.

7 Terapia. Se insorge la depressione, si attua una terapia combinata, con farmaci e psicoterapia. In media, la durata è di circa tre mesi.

Piaceri&Saperi Ben Essere, 19 aprile 2013, pag, 16

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