Inchiesta italiana
Medici corrotti e pillole
fai-da-te il ritorno degli aborti clandestini
“Raddoppiati in cinque anni”
Strutture illegali
Sono 40mila nel 2012.
“Troppi obiettori, inapplicabile la 194” Strutture illegali
Accade a Roma, a Napoli, a
Bari e a Palermo: donne che, respinte dagli ospedali, vanno in strutture
illegali come 40 anni fa Farmaci on line
Ragazze e immigrate usano un
farmaco per l’ulcera che si trova al mercato nero o si compra su internet: chi
sbaglia dose può rischiare la vita
Interventi all’estero
Chi può permetterselo decide
di andare all’estero: in Francia, Svizzera e Inghilterra si spendono 400 euro
per interrompere una gravidanza
di Maria Novella De Luca
Il cartello è scritto a penna, a volte su un
pezzo di cartone. «Qui non si effettuano più Ivg». Ossia interruzioni
volontarie di gravidanza. Aborti cioè. Porte sbarrate, reparti chiusi, day
afterdi qualcosa che c’era, funzionava, e adesso è in disuso, smantellato,
abbandonato. «Tutti i medici sono obiettori di coscienza, vada altrove».
Altrove è l’Italia che torna alla clandestinità: da Nord a Sud in intere
regioni l’aborto legale è stato cancellato, oltre l’80% dei ginecologi, e oltre
il 50% di anestesisti e infermieri non applica più la legge 194. Accade a Roma,
a Napoli, a Bari, a Milano, a Palermo. Le donne respinte dalle istituzioni
tornano al silenzio e al segreto, come quarant’anni fa. Alcune muoiono, altre
diventano sterili, ma nessuno ne parla. Ventimila gli aborti illegali ogni anno
calcolati dal ministero della Sanità con stime mai più aggiornate dal 2008,
quarantamila, forse cinquantamila quelli reali. Settantacinquemila gli aborti
spontanei nel 2011 dichiarati dall’Istat, ma un terzo di questi frutto
probabilmente di interventi “casalinghi” finiti male. Cliniche fuorilegge,
contrabbando di farmaci: sul corpo delle donne è tornato a fiorire l’antico e
ricco business che la legge 194 aveva quasi estirpato. Ma chi gestisce oggi
questo commercio ramificato? Quali sono le
rotte dell’aborto clandestino, che
sta facendo ripiombare il nostro paese nel clima cupo degli anni antecedenti al
22 maggio 1978, quando finalmente in Italia l’interruzione volontaria di
gravidanza diventò legale? E gli aborti iniziarono a diminuire, arrivando oggi
ad essere il 53,3% in meno rispetto agli anni Ottanta.
Cliniche
contrabbando
Ambulatori fuorilegge:
l’ultimo gestito dalla mafia cinese è stato smantellato a Padova dalla Guardia
di Finanza alcune settimane fa. Incassava quattromila euro al giorno. Tra i
clienti anche donne italiane. E poi sequestri, spaccio di farmaci abortivi,
confezioni di Ru486 di contrabbando, 188 procedimenti penali aperti nell’ultimo
anno per violazione della legge 194, spesso contro insospettabili
professionisti che agivano nei loro studi medici. Donne che ricominciano a morire
di setticemia, e donne che migrano da una regione all’altra cercando (spesso
invano) quei reparti che ancora garantiscono l’interruzione volontaria di
gravidanza. Ragazzine e immigrate che vagano nei corridoi del
metrò cercando i
blister di un farmaco per l’ulcera a base di “misoprostolo” che preso in dosi
massicce provoca l’interruzione di gravidanza, spacciato dalle gang
sudamericane che lo fanno arrivare nel porto di Genova dagli Stati Uniti. Dieci
pillole, 100 euro al mercato nero, meno della metà se si compra su Internet. E
le giovanissime abortiscono da sole, nel bagno di casa, perché della legge o
del giudice tutelare non sanno nulla, perché in ospedale la lista d’attesa è
troppo lunga e i consultori sono sempre di meno. (Dal 2007 al 2010 ne sono
stati tagliati quasi 300). Alem ad
esempio, 17 anni, nata in Italia da genitori egiziani, brava e brillante a
scuola, ricoverata in coma a Verona per un aborto provocato con un uncino. «Non
volevo che i miei genitori si accorgessero che ero incinta — ha raccontato — e
in ospedale non mi hanno voluto perché ero minorenne...». O Irene, cresciuta
tra le Vele di Scampia, già baby mamma a 14 anni, che a 16 anni abortisce nel
bagno di casa, ma sbaglia dosi di misoprostolo, e finisce in un grande
nosocomio di Napoli tra la vita e la morte. «Sono troppo povera per avere un
altro figlio» confessa ai medici. O, ancora, ed è sempre Sud, la storia della
compravendita di un neonato architettata da un ginecologo di Caserta, Andrea
Cozzolino, finito in manette l’8 maggio scorso. Aveva convinto una giovane
donna minorenne che si era rivolta a lui per un aborto clandestino, a partorire,
e poi vendere il suo bambino per 25 mila euro...
La percentuale di successo di questi aborti
solitari, quasi sempre farmacologici e di cui si trovano dettagliate istruzioni
in Rete è alta, oltre il 90%, ma chi sbaglia rischia la vita. Commenta amaro il
ginecologo Carlo Flamigni: «Contro la 194 c’è una congiura del silenzio.
Accedere ai servizi è sempre più difficile, e le donne più fragili, le più
giovani, le straniere, finiscono nella trappola dell’illegalità. È una
sconfitta per tutti».
Morire
d’aborto
Pilar ha 50 anni, il cuore
grande e le braccia forti. In Perù faceva l’ostetrica, qui assiste da vent’anni
le donne migranti. «L’ultima che ho accompagnato in ospedale mi ha detto di
chiamarsi Soledad, di lei so poco altro, se non che fa la badante e ha già due
figli in Ecuador. Per due volte aveva provato a cercare un reparto di Ivg, dopo
aver scoperto che in Italia l’aborto è legale. Per due volte l’hanno rimandata
indietro dicendole che non c’erano i medici. Così ha fatto da sola — rivela
Pilar — con le pasticche che ha comprato da un’amica, e quando mi ha chiamato
aveva la febbre e un’emorragia in corso. L’hanno salvata, non è stata
denunciata, ma per mesi era così debole che non ha potuto lavorare, ha perso il
posto di badante, e ora è disoccupata». E non è soltanto questione di donne
immigrate. «L’aborto clandestino ormai riguarda tutti i ceti della società»,
aggiunge Silvana Agatone, ginecologa e presidente della Laiga, la Lega italiana
per l’applicazione della 194, che da anni denuncia l’incredibile dilagare
dell’obiezione di coscienza.
«Ci sono gli aborti d’oro, quelli dei ceti
elevati, che si svolgono in sicurezza negli studi medici, oppure all’estero. E
poi ci sono gli aborti delle donne povere, delle clandestine, che comprano le
pasticche nei corridoi del metrò, e se qualcosa va male si presentano al Pronto
Soccorso affermando di aver avuto un aborto spontaneo». Qualcuna si salva,
qualcuna no. Come quella donna nigeriana che arrivò in ospedale «con una
gravissima infezione ed è morta di setticemia» ricorda Agatone, che lavora
all’ospedale San Giovanni di Roma. È andata meglio a Mariangela, pugliese, che
non sapendo più dove andare dopo la chiusura dell’ultimo reparto di Ivg nella
sua provincia (Matera) racconta sul forum “aborto-blogspot” di essersi rivolta
grazie al tam tam ad una (stimata) ginecologa di un paese vicino.
«Duemilacinquecento euro, intervento chirurgico sterile e sicuro. Come facevano
mia madre e mia nonna, ma senza rischi. Tutto molto triste però». Ma come si è
arrivati a questo smantellamento progressivo di una legge dello Stato? È legale
che interi nosocomi non abbiano più medici che applicano la 194? «No, non è
legale – continua Agatone - ma nessuno vuole più fare aborti perché si viene
discriminati e obbligati a fare solo e soltanto quelli». Alcuni dati: nel Lazio
il 91% dei ginecologi è obiettore di coscienza, a Bari gli ultimi due medici
che facevano gli aborti hanno deciso di abbandonare il reparto, a Napoli il
servizio viene assicurato da un unico ospedale in tutta la città, in Sicilia il
tasso di astensione dalla 194 è dell’80,6%. «Ma la vera tragedia riguarda
l’aborto terapeutico — conclude — un intervento per cui sono necessari medici
interni all’ospedale, ginecologo, anestesista, infermieri, e non si può
supplire con professionisti a contratto. Visti però i numeri dell’obiezione di
coscienza è evidente che in tempi brevi nelle strutture pubbliche italiane gli
aborti terapeutici non si faranno più».
Il calvario di Serena
E allora le donne emigrano.
Svizzera, Inghilterra, Francia. Quattrocento euro per una “Ivg” entro il terzo
mese, circa 3000 per un aborto terapeutico (oltre la 22esima settimana) in
clinica. Ma non tutte possono andare all’estero, e per quelle che restano la
prospettiva è un calvario di umiliazioni. Scrive Serena F. che ha dovuto
abortire alla 23esima settimana per gravissime malformazioni del feto: «Mi
hanno abbandonato da sola, 15 ore di travaglio senza darmi né antidolorifici né
altro, in tutto l’ospedale c’era soltanto una giovane ginecologa non
obiettrice, ma era sovraccarica di lavoro, così mi ha affidato, si fa per dire,
alle cure di due infermiere, ho chiesto ripetutamente un po’ d’acqua, me
l’hanno negata per ore. Quando alla fine il mio disgraziatissimo bambino è
nato, ed è morto subito dopo, una delle infermiere a bassa voce mi ha chiesto
se non mi vergognavo di quello che avevo fatto... La ginecologa l’ha sentita e
si è infuriata, quella ha risposto, è finita ad urli. Un dolore pazzesco. Ecco
così si abortisce legalmente in Italia».
La
denuncia di Piera
Gli ostacoli nel percorso
che porta all’aborto cominciano spesso nei consultori. «Ho tre figli, e la più
piccola, Alice, è nata con la sindrome di down. Lo sapevo, l’ho voluta lo
stesso. Poi è successo l’incredibile: a 44 anni sono rimasta incinta per la
quarta volta. Mauro, Marco, Alice che assorbe ogni mio respiro. Non era
possibile avere un altro bimbo. Sono andata in un consultorio della mia città
per iniziare le pratiche dell’aborto. Ho dovuto subire l’umiliante
interrogatorio dei volontari del Movimento per la Vita, lì collocati dalla
direzione sanitaria, che per due settimane hanno cercato di farmi “riflettere”,
parlandomi apertamente di omicidio, mentre i termini stavano per scadere. Un
vero abuso. Fuorilegge. Come se non soffrissi già abbastanza. Ho abortito in
ospedale e poi ho denunciato il direttore della Asl...». Ma come si fanno
invece a calcolare i numeri di un fenomeno clandestino? Con quali parametri?
Le
cifre di un dramma
Da anni nella relazione al parlamento sulla
legge 194, si cita una stima di 15/20mila aborti illegali ogni anno, un numero
calcolato soltanto sul tasso di abortività delle donne italiane (6,9 per 1000)
e sottostimato per stessa ammissione del ministero. Molti altri elementi però
portano almeno al raddoppio di quella cifra, facendo salire la quota delle
interruzioni di gravidanza clandestine a 40/50mila l’anno. Intanto confrontando
le stime dell’illegalità al tasso di abortività delle immigrate, che è di 26,4
interruzioni ogni mille donne, tre volte quello delle italiane. Analizzando poi
i dati Istat si vede con chiarezza quanto gli aborti spontanei siano aumentati,
passando dai 55mila degli anni Ottanta, ai quasi ottantamila di oggi.
E secondo molti studiosi questa impennata
altro non è che il ritorno dell’aborto clandestino “mascherato”, come avveniva
prima della legge, quando le donne dopo aver tentato di “fare da sole”
arrivavano in ospedale con emorragie e dolori, e i medici per salvarle
completavano gli aborti, registrati come “spontanei”. Lo spiega con chiarezza
Franco Bonarini, docente di Demografia all’università di Padova nel saggio
“Sessualità e riproduzione nell’Italia contemporanea”.
«L’incremento del rapporto tra aborti
spontanei e gravidanze potrebbe essere conseguenza di un aumento del ricorso
all’aborto volontario provocato illegalmente. Anche il più alto rischio per
alcune categorie di donne, immigrate, non coniugate potrebbe essere indizio di
questo fenomeno”. Ancora più preciso il calcolo di Bruno Mozzanega,
dell’università di Padova, che si ricollega al crescente “spaccio” di farmaci
per interrompere la gravidanza. «Agli aborti clandestini sottostimati in 20mila
casi all’anno, si devono aggiungere, come segnala l’Istat, 73mila aborti
spontanei, aumentati, rispetto al 1982, di 17mila casi all’anno. Un incremento
medio del 30% che però nelle minorenni sfiora il 70%. Se questo surplus di
aborti spontanei rappresentasse anche solo in parte gli insuccessi (5-10%) dei
farmaci abortivi di contrabbando, ne emergerebbe un sommerso illegale di
dimensioni inimmaginabili a carico soprattutto delle giovanissime».
Le rotte
Chi
gestisce questo “commercio” ramificato? Quali sono le rotte fuorilegge che
riportano il nostro paese a prima del 1978?
I
parametri
Come
si possono conoscere esattamente i numeri di questo fenomeno? Quali parametri
si devono usare per calcolarli?
la Repubblica, 24 maggio
2013, pag, 24
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