Le tappe della crescita
Fin dall’asilo impariamo a
comportarci con codici legati al sesso. Ma è giusto continuare?
di Federica Seneghini
Matteo, 4 anni, sta
disegnando in un angolo della stanza. Matite colorate, qualche pennarello e l’immagine
che inizia a formarsi sul foglio bianco. Poi, all’improvviso, un urlo della
compagna Lisa, sua coetanea, attraversa la stanza: «Maestra! Matteo usa la
gomma delle femmine!». Poco dopo è il momento di scegliere uno strumento
musicale: qualche bimba prova quelli più rumorosi — tamburi e batteria — salvo
poi nascondersi il viso tra le mani per la vergogna. All’ora della merenda
un’insegnante chiede a una femmina di aiutarla a distribuire la frutta: «Delle
bimbe ci si può fidare di più», spiega. E a lei: «Sei proprio una donnina,
brava!». Quando poi a fine giornata Luca non ha nemmeno una macchia sul
grembiule, la madre, preoccupata, chiede alla maestra: «Sta bene? Mi sorprende
che non si sia sporcato».
Emanuela Abbatecola e Luisa Stagi,
ricercatrici della Scuola di scienze sociali dell’Università di Genova e
animatici della rivista About Gender (aboutgender.unige.it), per due anni hanno
studiato gli stereotipi di genere in due scuole d’infanzia del capoluogo ligure
lavorando con gli insegnanti e con i bambini (una ricerca che si è svolta
nell’ambito del progetto Step promosso dal Comune). «Quel che è emerso è stato
un quadro decisamente sessuato, dai colori ai vestiti, dal linguaggio ai
giochi», racconta Abbatecola. Vere e proprie «gabbie comportamentali», che
riflettono le «aspettative di adesione ai modelli di genere». Tradotto: cosa la
società si aspetta da un maschio e cosa da una femmina. E se le
bimbe-maschiaccio a volte non vengono nemmeno
notate, per i bimbi è tutto più
difficile: «Dall’aspetto al modo di camminare, di vestirsi, di giocare e di
raccontarsi devono imparare a non fare le femminucce. Capire dove finisce la
natura e dove inizia la cultura è impossibile visto che i condizionamenti
partono da subito». E anche se la sociologia non nega l’esistenza di un fattore
naturale, la cultura ha un potere enorme. Basta pensare agli svenimenti
femminili frequenti nel secolo scorso, scomparsi per un cambiamento culturale.
Giochi
e asili
Alle porte di Parigi,
l’asilo di Saint-Ouen lotta contro gli stereotipi sessisti da oltre tre anni.
Niente rosa o blu sugli armadietti, né poster di principesse e pirati alle
pareti. Gli educatori non fanno complimenti alle bimbe sui vestitini e non
esortano i maschi a trattenere le lacrime perché «i duri non piangono». I
genitori danno una mano: «All’inizio non capivamo cosa c’entrasse il sessismo
con bimbi di meno di tre anni — dice un papà —. Poi ci siamo resi conto che per
noi nostro figlio era un "ometto forte e coraggioso" e mai gli
avremmo detto "sei carino"».
Anche i giochi rientrano in
questa battaglia. Se a Londra i superstore Harrods e Hamleys hanno detto basta
al gender apartheid abolendo sui loro scaffali la distinzione dei giocattoli
per sesso e riorganizzandoli per tipologie, in Svezia il catalogo natalizio
della «Top Toy» ha stravolto le convinzioni sociali grazie al ruolo dei
testimonial: una ragazzina che impugna un fucile azzurro e un bimbo che culla
un bambolotto. L’obiettivo? «Riflettere il modo in cui i bambini giocano nella
vita reale, non rappresentarli in modo stereotipato». Non più giocattoli da
maschio o da femmina, ma giochi e basta insomma.
Liberi
di scegliere
Negli Stati Uniti ha fatto
discutere il caso di Gavyn, 4 anni: aveva chiesto a Babbo Natale un fornetto
per «cucinare» come la sorella maggiore, ma — sorpresa — il prodotto era
presente sul mercato solo in rosa e viola. Una petizione online ha convinto il
colosso dei giocattoli Hasbro ad avviare la produzione di un nuovo forno
unisex. Un esempio di come giochi che potrebbero potenzialmente interessare
maschi e femmine, vengono pensati dal marketing solo per uno dei due sessi (e
contro la dittatura del rosa in Inghilterra è nato il movimento Pinkstinks).
Vale anche per i vestiti: la rete si è scatenata per il coraggio di Sam, 5
anni, che per il suo primo giorno di scuola ha voluto indossare a tutti i costi
un paio di scarpette rosa. Immediata la reazione dei parenti: una scelta
«sbagliata che l’avrebbe fatto diventare gay». Casi di individui
coraggiosi? Secondo uno studio
della Binghamton University di New York, i maschi evitano in misura doppia di
sperimentare giochi tipicamente femminili in presenza di altre persone.
«Rompere queste gabbie non vuole dire forzare
i bambini, ma lasciarli liberi di scegliere — riprende Abbatecola —. A Genova,
tra i genitori non è mancato chi, preoccupato, ci ha chiesto se per caso non
avessimo avuto intenzione di fare giocare i bimbi con le bambole». I vantaggi
una volta cresciuti? «Uno stile di vita più consono al proprio sentire e
(nuovi) adulti meno violenti, lontani dagli stereotipi che considerano il
"vero maschio" diverso dalle femmine: bullismo, omofobia e violenza
di genere partono anche da qui».
Corriere della Sera, 19 gennaio
2013, pag, 41
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