L’INTERVISTA
I bambini sono predisposti
all’apprendimento
Parla la psicoanalista
Martine Menes: «Il desiderio di sapere è una delle facce del desiderio di
vivere. Gli adulti devono imparare a non ostacolare questo moto spontaneo»
Roberto Arduini
RARAMENTE IL PROBLEMA DEL
FALLIMENTO SCOLASTICO È COLLOCATO ALLA SUA ORIGINE: CIÒ CHE NEL BAMBINO RENDE
POSSIBILE L’APPRENDIMENTO, CIOÈ IL SUO DESIDERIO DI APPRENDERE. MA COME NASCE E
SI
SVILUPPA QUESTO DESIDERIO?
Dai primi studi sulla psicoanalisi infantile si aprono oggi nuove esigenze,
soprattutto quella di «aggiornare» la risposta che Freud ha dato a partire da
ciò che l’esperienza clinica metteva in luce nel contesto culturale della sua
epoca. Conviene, tuttavia, porre nuovamente la questione in un mondo in cui le
trasformazioni dei legami e delle regole che li definiscono, sconvolgendo in
particolare le condizioni di nascita ed educazione, vanno così veloci e sono
così radicali che non ci si può non domandare se e come il sistema descritto da
Freud sia sempre attuale per leggere una realtà in cambiamento.
Nel momento in
cui la pedagogia si ripiega su se stessa cercando di spiegare tutto con la
mancanza delle conoscenze, quando non chiama in causa le deficienze organiche o
genetiche, Martine Menes apre una strada di particolare interesse nel dibattito
sull’assistenza ai bambini con disturbi nell’apprendimento. Psicoanalista
francese, membro della Scuola di Psicoanalisi dei Forum del Campo lacaniano,
insegna al Collegio Clinico di Roma e di Parigi. È in Italia per presentare,
oggi a Roma alle ore 18 a San Luigi dei francesi, il suo ultimo libro, Il
bambino e il sapere (Edizioni du Seuil, 2012, euro 17,50), che conclude il
discorso iniziato in Un trauma benefico: «La nevrosi infantile» (Edizioni Praxis
del Campo lacaniano, 2011, euro 20).
«I bambini apprendono a ritmi differenti»,
dice in esclusiva a l’Unità. «Ma queste differenze rivelano un aspetto
essenziale del rapporto al sapere: non ci sono solo le facoltà cognitive. Il
loro sviluppo dipende da ciò che entra in gioco nella costruzione della
personalità. Sono predisposizioni all’apprendimento che possono essere
facilitate oppure ostacolate dal modo in cui il bambino si costituisce in
quanto soggetto di desiderio, accede alla parola e alle relazioni all’altro. Al
cuore della personalità interferisce in silenzio questo straniero familiare che
si chiama inconscio».
Il
desiderio di sapere esiste, qu in di, fin dall’inizio in ogni bambino?
«Sì, eccetto che in
situazioni estreme e patologiche (in particolare in caso di autismo); ogni
bambino sente spontaneamente il desiderio di apprendere, semplicemente perché
ciò è vitale per lui. Sin dalla sua uscita da quel luogo chiuso e protetto in
cui vive per nove mesi, il neonato è costretto, per sopravvivere, a imparare a
cogliere e utilizzare tutte le risorse disponibili nel suo ambiente per la
propria crescita. D’altronde, per la psicoanalisi, il desiderio di sapere non è
che una faccia del desiderio di vivere, che si può chiamare anche libido o
energia vitale. Guidato naturalmente verso gli oggetti del suo sapere, il
neonato impiegherà più settimane per capire che c’è dell’altro anche sul suo
cammino...».
Questo
altro influisce sull’accesso al sapere?
«Ci possono essere problemi
quando l’altro (e per questo s’intende l’adulto che ha in carica la sua
educazione) è troppo assente o troppo presente. Nel primo caso, questo è stato
osservato soprattutto nei bambini in orfanotrofio, poi spostati da una famiglia
ospite all’altra; la reiterazione delle separazioni e l'instabilità costringono
il bambino a ricostruire ogni volta il suo mondo interno ed esterno. È qui che
l’apprendimento può fare sintomo: appaiono delle difficoltà a entrare nei
codici stabili della scrittura, la lettura ecc. All’altra estremità, un altro troppo
ingombrante costringe il bambino a resistere per esistere. Lo vediamo
soprattutto nei bambini iperattivi. Agitati, si sono costruiti una corazza e
sono troppo occupati a cercare l’aria
per concentrarsi. Quando i loro genitori mi descrivono l'agenda pienissima dei
loro figli, chiedo loro: A che ora si annoia? Poiché fantasia, vuoto e noia
sono necessari al bambino per entrare in contatto con il proprio desiderio».
In
questo lungo cammino di apprendimento, ci sono dei periodi più difficili e «a
rischio»?
«Sì, il desiderio di sapere
può essere notoriamente ostacolato proprio da ciò che il bambino scopre. Così
intorno ai 5-7 anni, nel momento in cui comincia a capire il funzionamento
dell’esistenza umana, il bambino si chiede da dove viene e cosa succederà
quando non sarà più qua. Prende coscienza della finitezza dei suoi genitori che
finora credeva onnipotenti. Questo genera molta angoscia in alcuni bambini, che
possono puntualmente prendere la posizione di non voler sapere più niente.
Appaiono spesso difficoltà ad addormentarsi, o anche fobie, che mobilitano la
vita psichica. Un altro periodo caotico è, ovviamente, la pubertà, in cui
riemergono tutte queste questioni, con in più l’enigma dell’incontro con
l’altro sesso».
Nelli
libro scrive che per imparare bisogna «accettare di ricevere dagli altri». Può
spiegarsi meglio?
«Credo che ci troviamo in
una cultura del senza limiti, in cui il bambino ignora che non è onnipotente,
che non gli è accessibile tutto. Ora, per aprirsi alla conoscenza bisogna
accettarsi imperfetti, mancanti. Certamente, bisogna anche sapere che ci si può
riuscire, ma solamente per tappe e all’interno di un processo in cui occorrerà
allo stesso tempo mettere del proprio e cooperare con gli altri».
L’Unità, 18 gennaio 2013,
pag, 19
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