Servono
risposte coordinate a minacce vecchie, attuali e future
Non bisogna lasciare
rischiose falle nella prevenzione
di Roberta Villa
Se in Europa esiste la
libera circolazione di merci e persone, questa vale ancor più per virus e
batteri, ignari di qualunque frontiera. Per questo negli ultimi dieci anni la
Commissione Europea ha investito oltre 500 milioni di euro in progetti che
coinvolgono esperti, università, istituzioni di sanità pubblica degli Stati
membri — ma a volte anche di altri Paesi limitrofi, come Svizzera e Turchia —
nella convinzione che proteggersi dalle malattie infettive nel ventunesimo
secolo è ancora importante e che l'immunizzazione ottenuta con i vaccini è una
colonna fondamentale, anche se non l'unica, di quest’opera di prevenzione. Filo
conduttore delle iniziative la volontà di rispondere in maniera coordinata a
minacce vecchie, nuove e possibili in futuro. «Ciò non significa che le
strategie debbano essere le stesse in tutti i Paesi — precisa Paolo D'Ancona,
del Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute
dell'Istituto superiore di Sanità —. Esaminando le differenze è possibile però
individuare punti di forza e di debolezza e rispondere in maniera adeguata».
Prima di tutto occorre avere un quadro chiaro della situazione, sapere quali
Paesi effettuano le varie vaccinazioni, a quali categorie di cittadini, con
quali modalità: se per esempio attraverso un obbligo di legge o tramite
un'offerta attiva, gratuitamente o con una compartecipazione alle spese.
«È questo il principale obiettivo del
progetto Venice II, coordinato dall'Istituto superiore di Sanità italiano, che
si avvale di un network di esperti di 29 Paesi» prosegue D'Ancona, responsabile
del progetto. Gli esperti di Venice hanno studiato le strategie vaccinali nei
vari Paesi europei per i principali vaccini, nonché temi specifici come la
vaccinazione dell'adulto, o le modalità di introduzione di nuovi
vaccini,
quelli contro il papillomavirus umano o quello contro il rotavirus,
responsabile di gravi gastroenteriti dell'infanzia.
Quest'ultimo è un buon esempio di come in
contesti sovrapponibili si possano prendere provvedimenti diversi: adottato e
promosso in alcuni Paesi, non è invece incluso nel nuovo Piano nazionale di
prevenzione vaccinale del ministero della Salute italiano. Perché? «Per essere
autorizzati dalle autorità competenti tutti i vaccini devono essere efficaci e
sicuri — spiega Susanna Esposito, direttore della prima Clinica pediatrica
all'Ospedale Policlinico di Milano e presidente della Società Italiana di
Infettivologia Pediatrica —. Poi, la scelta di consigliarli o di offrirli
gratuitamente deriva essenzialmente da valutazioni di tipo economico e
organizzativo: nel caso del vaccino per il rotavirus, per esempio, si devono
somministrare 2 o 3 dosi per bocca a partire dal secondo mese di vita, prima
quindi del primo appuntamento per le altre vaccinazioni, e ciò complica le
cose». Il vaccino inoltre è abbastanza caro (nel nostro Paese ogni dose costa
più di 50 euro) mentre la malattia, pur provocando nella sola Italia migliaia
di ricoveri ogni anno, nei Paesi industrializzati difficilmente è mortale o
lascia esiti permanenti. Per questo, per il momento, il vaccino è offerto con
una partecipazione alla spesa solo in alcune Regioni.
«In Italia, la scelta dell'adozione di un
vaccino si basa essenzialmente sulla gravità delle conseguenze cliniche della
malattia da evitare, mentre altrove si tiene in maggior conto anche il rapporto
tra i costi della vaccinazione e quelli diretti e indiretti della malattia»
prosegue Esposito. Per questo, restando sull’esempio del vaccino per il
rotavirus, mentre in Italia è somministrato solo all'1% dei bambini, in Finlandia,
Belgio, Austria si è promossa questa vaccinazione.
La stessa logica è seguita negli Stati Uniti
non solo contro il rotavirus ma anche contro i virus influenzali: vaccinare
tutti i bambini, anche se non sono a rischio, per bloccare la trasmissione del
virus e pure per ridurre l'impatto economico e sociale dell'epidemia
stagionale.
Il vaccino antinfluenzale,
peraltro, è sempre oggetto di attenzione: la sua sicurezza è stata
ripetutamente accertata, ma sull'efficacia molti studi hanno espresso perplessità.
«La sua capacità di proteggere dall'influenza può variare dal 30 all'80% —
spiega Pierluigi Lopalco, a capo del programma per le malattie prevenibili da
vaccino del Centro europeo per il controllo delle malattie (ECDC) —. Dipende da
quanto si rivelano esatte le previsioni in base alle quali si producono ogni
anno i vaccini, tenendo poi conto del fatto che i virus possono mutare nel
corso della stessa stagione». Per monitorare di anno in anno quanto funzioni il
vaccino in 17 Paesi europei, in relazione a modi e tempi di somministrazione,
nei diversi gruppi di rischio e per ogni sottotipo virale, c'è il progetto
I-MOVE che consente di avere dati indipendenti dall'industria e provenienti
dalla popolazione europea, per correggere eventuali errori e migliorare i
risultati. «Anche un'efficacia di poco superiore al 30%, comunque, per quanto
insoddisfacente, non rende inutile la vaccinazione, — puntualizza Lopalco —
perché permette di ridurre di un terzo il rischio di una malattia che nei
soggetti a rischio può essere mortale».
Una delle ragioni dello scarso entusiasmo di
parte dell’opinione pubblica nei confronti delle vaccinazioni è la scarsa
percezione della gravità delle patologie che prevengono. Un problema che vale
per l'influenza come per il morbillo, una delle malattie che, per il suo forte
carico di vittime e disabilità, più preoccupa le autorità europee. «L’obiettivo
di eliminare il morbillo dal continente europeo entro il 2015 ormai sembra
sfumato — ammette Lopalco —. In Europa abbiamo ancora 4.900.000 persone nate
tra il 1998 e il 2008 che non sono vaccinate e l'Italia è tra i Paesi con il
più alto numero di casi, che negli ultimi anni aumenta invece di diminuire. Avere
più del 90% di copertura non basta, e talvolta può non esserlo nemmeno quella
auspicata del 95%: se piccoli non vaccinati si concentrano in un unico
ambiente, nemmeno l'immunità del "gregge", come si dice, potrà
proteggerli».
Oltre al morbillo, l'ECDC
tiene d'occhio anche altre importanti malattie del bambino, come la parotite,
la rosolia (per le sue conseguenze sul nascituro quando è contratta in
gravidanza) e la pertosse (che nei piccolissimi può bloccare i centri del
respiro). Un tempo queste malattie erano considerate quasi un passaggio
obbligato nell'infanzia e le conseguenze erano ritenute fatalità. Oggi si
possono evitare.
Corriere della Sera, 18
novembre 2012, pag, 44
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