Affollano l’uscita delle
scuole, confondendosi con la generazione venuta dopo
di Silvia Vegetti Finzi
Nei cambiamenti epocali che hanno investito
la famiglia una cosa è certa: non esistono più i nonni di una volta. Autorevoli
ma appartati e discreti, sembravano essere nati vecchi. Nell’iconografia della
famiglia si collocavano sullo sfondo, dove rappresentavano la tradizione, la trasmissione
dei beni e degli affetti. I nuovi nonni invece, giovanili, curiosi, spesso
professionalmente attivi, sono balzati al centro delle relazioni familiari e
sociali. Alla domanda: «Ma queste cose succedevano anche ai suoi tempi?», una
nonna risponde con orgoglio: «Il mio tempo è questo»
Considerati la «generazione fortunata», hanno
tratto consistenti benefici dai progressi del nostro Paese: casa di proprietà,
discrete pensioni, qualche risparmio, buone condizioni di salute. Nonni che,
dopo aver studiato, lavorato, viaggiato, partecipato più o meno direttamente a
importanti avvenimenti politici e civili, ora sono pronti a fare la loro parte
come nonni, aiutando i figli in modo economico, organizzativo e affettivo.
Se, pur colpiti da una crisi economica senza
precedenti, abbiamo sinora evitato la catastrofe che ha colpito molte famiglie
americane, è perché i nonni, con le loro risorse, hanno svolto il compito di
ammortizzatori economici. Inoltre, mettendo a disposizione il loro tempo,
aiutano i figli, soprattutto le mamme che lavorano, a sopperire alla cronica
insufficienza dei servizi sociali. All’uscita dei bambini da scuola si vedono
più nonni che
genitori, anche se spesso le due generazioni si confondono.
Ma credo che l’apporto più importante sia
quello affettivo perché i nuovi nonni hanno dato un’impronta diversa al loro
ruolo. Sono stati figli ribelli, coppie inquiete, genitori sperimentali e ora
provano, soprattutto gli uomini, la gioia inattesa di abbracciare un bambino
piccolo, di guardare il mondo con i suoi occhi, di recuperare il tempo perduto.
Esonerati dal compito di educare — proprio dei genitori — i nonni si permettono
margini di libertà, di fantasia, piccole trasgressioni che alleviano l’infanzia
dal peso di troppi impegni. Anche le nonne sono disponibili e attente ma su di
loro gravano compiti molteplici e talora eccessivi. In una popolazione che vive
sempre più a lungo capita che debbano occuparsi contemporaneamente dei
genitori, dei figli e dei nipoti. Dopo un’esistenza spesa tra casa e lavoro,
avrebbero il diritto di godersi il meritato riposo ma lo considerano superfluo
di fronte al bisogno degli altri. Un bisogno che si acuisce allorquando i
figli, dopo essere diventati genitori, si separano. In questi casi i nonni
diventano un saldo punto di riferimento perché garantiscono, e non solo per i
bambini, la sicurezza, la continuità, la speranza di ricominciare.
In una società smemorata, i nonni
custodiscono la memoria viva del passato prossimo. Pochi conoscono la storia
contemporanea e spesso gli studenti non vedono motivo di studiarla. Ma tutto
cambia quando un nonno o una nonna racconta di sé con la forza persuasiva della
testimonianza. Allora piovono le domande, la scena si anima, i ragazzi si
immedesimano in vicende diventate improvvisamente interessanti. Spesso i nonni
possiedono anche un «saper fare» che integra le competenze, quasi
esclusivamente intellettuali, dei ragazzi. Le loro camerette, si sa, sono
ricche di giocattoli ma povere di esperienze e un nonno che insegna a coltivare
l’orto o a riparare la lavatrice e una nonna che trasmette le ricette di
famiglia, diventano fondamentali maestri di vita. Ma dobbiamo riconoscere che,
se i nonni danno tanto, ricevono anche il dono impagabile di sentirsi utili,
preziosi e amati dai loro nipoti. Bambini tiranni, che hanno tutto, che non
desiderano niente, ma che comprendono il sentimento fondamentale della
gratitudine quando possono dire: «Grazie nonni»
Corriere della Sera, 29 settembre
2012 pag, 47
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