Troppa paura di sbagliare e
molte mamme rinunciano
di Elvira Naselli
Nella regione di Copenhagen il 99,5 per cento
delle mamme allatta al seno. In Italia — secondo più studi — alla dimissione
ospedaliera lo fa una percentuale tra il 60 e l’89% (allattamento misto,
biberon e seno), a seconda della regione e dell’ospedale; a tre mesi di età si
scende molto al di sotto del 50% (quello misto al 69%), a sei mesi, quello
esclusivo sembra inferiore al 10%. E pensare che l’Organizzazione mondiale
della sanità (Oms) prevede allattamento esclusivo fino a sei mesi, per
proseguire, integrato con alimenti solidi, fino a due anni e più, se lo si
desidera.
Sull’unicità del latte materno, e sul fatto
che sia l’alimento più adatto per il neonato, dal punto di vista nutrizionale e
biologico, non ci sono dubbi. Ma allora perché si allatta poco? Quasi sempre
per paura di non farcela. Se invece le mamme sono motivate, hanno frequentato
corsi di preparazione alla nascita o incontrato le persone giuste, gli ostacoli
si dissolvono.
«Il coinvolgimento del papà è molto importante — spiega Giuseppe
Giordano, neonatologo agli ospedali riuniti Villa Sofia-Cervello a Palermo —
perché fa letteralmente il cane da guardia, sostenendo la compagna e
proteggendola da ingerenze familiari, spesso controproducenti. Nel percorso
nascita incontro 500 coppie all’anno, dedico molto tempo all’allattamento al
seno e dico che le donne motivate sono macchine da guerra. La loro motivazione
ha però bisogno di essere sostenuta ogni tanto con una piccola stampella, una
visita in corsia dopo la nascita o una mail dopo le dimissioni. Poiché, però,
le mail non bastano e i dubbi sono molti, il nostro progetto, quasi realtà, è
un ambulatorio che si occuperà solo di consulenza per allattamento al seno, con
accesso libero e gratuito due o tre volte a settimana».
Altro punto dirimente è la formazione del
personale. «La promozione dell’allattamento al seno — premette
Enrico Bertino,
direttore della neonatologia universitaria del Sant’Anna di Torino — è cosa
molto complessa, che passa dalla formazione degli operatori sanitari —
infermieri, ostetrici, specializzandi — a quella delle mamme e della società,
con campagne specifiche. Oggi, purtroppo, chi pure comincia ad allattare smette
presto, per mancanza di sostegno nei luoghi di lavoro e difficoltà di
allattamento in società. Spesso le donne si sentono sole, ma devono imparare a
non aver paura di chiedere aiuto o consiglio. L’unica cosa sicura è che tutte
le mamme possono allattare, i casi di ipogalattia vera sono molto rari, 2-3%.
Al contrario, se la produzione di latte diminuisce, il piccolo ha fame e
succhia di più stimolando la produzione. Importante invece non guardare
orologio né bilancia, evitare ciucci e altri liquidi»
Quello dello stigma della società è per
fortuna un fenomeno che tende a scomparire. Dopo l’iniziativa delle farmacie
amiche dell’allattamento, altre ne stanno nascendo, anche da parte di esercizi
commerciali comuni. A Milano viene presentata proprio oggi, in piena settimana internazionale
dell’allattamento, Alado, la prima agenzia del latte di donna, per fornire
consigli e informazioni (info@agenzialattedidonna.it; 02.28970061). Molti
altri appuntamenti sul sito della Leche Ligue Italia, in prima fila da anni, su
quello di Mami, per Roma, su quello del Melograno. «Dobbiamo compiere ogni
sforzo per mettere le mamme in condizioni di allattare — premette Carlo
Agostoni, ordinario di Pediatria all’università di Milano — e di farlo il più a
lungo possibile. Sfatando paure ancora diffuse che portano a supplementazioni
inutili, come quella che il latte dopo mesi non sia più nutriente e “diventi
acqua”. Ma anche creando ambienti favorevoli, cercando di trasferire il
supporto che prima era della nonna ad altri soggetti, e anche rivedendo le
curve di crescita, che spesso spaventano genitori e qualche operatore, e che
sono tarate sui bambini degli anni Cinquanta. Bisogna far riferimento a quelle
più recenti dell’Oms».
Senza dimenticare che allattare fa bene a
mamma e bambini. «Ci sono molte evidenze — chiude Claudio Maffeis, docente di
Pediatria all’università di Verona — sulla relazione tra durata
dell’allattamento al seno e riduzione del rischio di sviluppare patologie
cardiovascolari nella mamma in postmenopausa. E i bambini allattati per più di
sei mesi hanno anche un minor rischio di diventare obesi».
I
casi accertati di ipogalattia sono rarissimi, si contano tra il 2 e il 3 per
cento
La Repubblica, 2 ottobre
2012 pag, 30
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