Mamme e lavoro
di Albina Perri
L’utero delle donne è in
autogestione dagli anni Settanta. Da qui dev’essere sorto l’equivoco che quel
che genera è automaticamente proprietà privata. Se l’utero è mio e lo gestisco
io, sarà mio pure il pargolo conseguente. I maschi, sul tema, hanno sempre
fatto i finti tonti, dando ragione al femminismo pur di togliersi
dall’impiccio. I figli di entrambi? Nicchiano. Risultato: le donne - mostruose
creature potenzialmente creatrici - finiscono a firmare contratti come quelli
della Rai, dove la gravidanza e la malattia sono una cosa sola. E se,
disgraziate, figliano, retrocedono in serie B perché - come scrive su Libero Maria
Giovanna Maglie - hanno scelto «la distrazione» dei figli anziché la «presenza,
continuità, dedizione» a una scrivania. Bell’affare, abbiamo fatto, con la
storia del possesso inguinale.
Dice la Maglie che dobbiamo farcene una
ragione, qui se sei femmina tocca scegliere tra figli e carriera, e un mondo
diverso, dove quando sei «distratta» dalle doglie «ti tengo no in caldo anche la
promozione» è una bugia. Eppure io sul tema ho dibattuto con un’amica
coetanea,che si è trasferita in Inghilterra una decina di anni fa, e lei mi ha
rivelato che il mondo dei balocchi esiste. Da cinque anni è ingegnere in una
multinazionale che progetta opere immense. Da due è mamma di Sofia. Lei la sua
carriera la sta facendo a prescindere dall’esistenza dell’essere coi codini e
il moccio al naso che le tira la sottana, anzi, di più: è stata promossa
proprio mentre era in sala parto. Gliel’avevano promesso, e il fatto che fosse
momentaneamente in ospedale - perché la gravidanza, checché se ne dica, non è
cronica, prima o poi passa - non è stato un problema. Brava era e meritevole
prima del fattaccio, brava e meritevole ugualmente dopo. Quei mesi di pancia e
piedi gonfi, e quegli altri di notti insonni, non l’hanno resa un ingegnere
incapace di costruire
ponti dritti. Il fatto è che lì un figlio non è un affare
della donna, ma della famiglia. Della femmina e del maschio, insomma. Nessuno
si sogna di chiedere in un colloquio di lavoro se hai intenzione di fare figli
o se già li hai, perché la questione non è pregnante. E se lo si chiede a lei,
lo si chiede pure a lui. I papà hanno il diritto al congedo parentale tale e quale
alle mamme. Perché cambiare un pannolino non è azione così complessa che un
uomo non sia in grado di fare. Ai più sfugge poi che, dopo i sei mesi di vita,
un umano la pianta con le tette e il latte. Lo può alimentare chiunque, perfino
un maschio. In Inghilterra ci si divide i compiti, e il figlio non è della
donna, è di entrambi. Non c’è da scegliere tra vita casalinga e vita in
carriera. Il lavoratore non è un monaco che si immola al capo benedetto. Lei,
mi diceva, è tornata in azienda più motivata di prima. E brava uguale. Il mondo
dei sogni - volendo - si fa.
Libero, 23 febbraio 2012,
pag, 8
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