Furono scoperte un secolo fa, aiutarono a sconfiggere molte
malattie da denutrizione. Oggi ci si preoccupa del massimo livello tollerabile
con l’imminente revisione dei Larn: “Se non c’è carenza, basta una dieta varia”
di Elvira Naselli
Le Vitamine, o ammine della
vita, compiono cent’anni. Era il 1912 quando il biochimico polacco Casimir Funk
utilizzò per la prima volta il termine sul Journal of State Medicine
ipotizzando l’esistenza di almeno quattro tipi di vitamine la cui carenza
determinava malattie come beri beri, scorbuto, pellagra. Oggi, a distanza di un
secolo, si ragiona non più sulle carenze ma sull’eccesso, dovuto soprattutto
alla supplementazione in pillole, farmaci da banco e dunque in vendita libera.
Eccesso potenzialmente pericoloso per maggior rischio di sviluppare patologie
cardiovascolari e tumorali, come sostengono alcuni recentissimi studi
statunitensi, paese in cui il ricorso alla supplementazione vale oltre 28
miliardi di dollari.
«Il punto — ragiona Laura
Rossi, che ha partecipato alla revisione sistematica dei Larn (livelli di
assunzione raccomandati di energia e nutrienti) proprio per le vitamine — è che
prima di ricorrere ad una supplementazione bisognerebbe dimostrare che c’è una
carenza. Fino agli anni Novanta si suggeriva la supplementazione per evitare
carenze diffuse tra la popolazione, oggi invece vi si ricorre per un’ipotetica
azione preventiva e si dà la percezione che si possa anche eccedere la dose
raccomandata. Cosa inutile e rischiosa: se si utilizzano le vitamine a dosi non
naturali, come quelle presenti negli alimenti, ma farmacologiche bisogna fare
attenzione e ragionare come se fossero veri e propri farmaci».
Invece gli
entusiasti dei complessi multivitaminici ragionano esattamente al contrario: se
una dose fa bene, una dose maggiore farà ancora meglio. Non è un caso che
proprio nella imminente revisione dei Larn, strumento ufficiale della Sinu, la
Società italiana di nutrizione umana, verrà indicato anche per vitamine e sali
minerali l’upper level, cioè il livello massimo tollerabile oltre il quale è
bene non andare, livello stabilito e pubblicato dall’Efsa, l’ente europeo di sicurezza
alimentare, e da Scf (Scientific Committee on Food). «Si è arrivati a stabilire
l’upper level — continua Rossi — dopo l’allarme provocato da un trial finlandese
che era stato sospeso per aumentata mortalità nei soggetti che assumevano dosi
cospicue di vitamina A ed E. Non bisogna dimenticare inoltre che le vitamine
liposolubili (A, D, E e K, ndr) si accumulano nel fegato e si può avere un
effetto di cronicizzazione mentre la vitamina C, che non è accumulabile, viene
comunque smaltita dai reni, che si possono sovraffaticare con dosaggi eccessivi»
Gli upper level stabiliti
nei Larn sono comunque elevati, difficili da raggiungere solo con gli alimenti,
ma facili da superare con le pillole e l’auto dosaggio. «È difficile arrivare
al sovradosaggio, persino se si utilizzano alimenti fortificati — continua
Laura Rossi — ma bisogna comunque prestare attenzione: oggi quasi tutti i
succhi di frutta o i cereali da prima colazione hanno aggiunte di vitamina A ed
E, per pure ragioni commerciali e non di necessità. E non dimentichiamo che
queste due vitamine sono presenti in quasi tutti gli integratori estetici per
le rughe o per il dimagrimento. L’invito è dunque a consumare frutta e verdura
ed evitare supplementazioni, a meno che non ci siano carenze accertate».
Diverso il discorso di alcuni paesi, come l’Argentina, dove, per combattere la
malnutrizione, la farina è fortificata per legge con una serie di vitamine del
gruppo B.
la Repubblica, 10 gennaio 2012, pag. 28
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