“Mamme entro i 43 anni”

Se l’età della provetta viene imposta per legge

Le Regioni varano il tetto anagrafico. Ed è polemica

di Vera Schiavazzi

  Fissare a 43 anni la soglia massima oltre la quale non è possibile sottoporsi alla fecondazione assistita. O, almeno, non è possibile farlo pretendendo un rimborso dal servizio sanitario pubblico. La proposta — destinata fin dall’inizio a diventare oggetto di scontro mentre in pochi giorni due casi di “mamme nonne”, a Torino e a Salerno, sono finiti sotto i riflettori — è già stata scritta dal tavolo tecnico interregionale che lavora sulla procreazione, e ora dovrà essere approvata dagli assessori alla Sanità. In alcune regioni o in certi ospedali esistono già dei limiti. Formalmente però soltanto in Toscana, che l’ha fissato a 42 anni meno un giorno, e in Veneto, che più liberalmente l’ha indicato allo scadere del cinquantesimo anno di età (e dei 65  per gli aspiranti padri), esiste una norma ufficiale. La soglia ipotizzata dai tecnici, del resto, non è del tutto arbitraria. Se è vero infatti che nel campo della salute ogni persona è diversa dalle altre (una cinquantenne può avere una “riserva ovarica” assai migliore di una quarantenne) è altrettanto vero che l’Eshre, la
società europea di riproduzione umana e embriologia con sede a Stoccolma, ha fissato il limite consigliato proprio in quel punto. Perché, al di là, non è più possibile — almeno in Europa — comunicare percentuali rispetto al successo che ci si deve attendere. Negli Stati Uniti, le ultime statistiche parlano invece di 44 anni. «Fissare dei limiti basandosi sulla statistica non è sempre sensato in medicina — dice Carlo Flamigni, medico e docente bolognese, forse il più famoso e stimato tra i “maghi della provetta” italiani — Una ragazza di vent’anni che soffre di diabete o è obesa può avere meno possibilità di avere figli di una donna di 45 che sta bene ed è lontana dalla menopausa. Non posso e non voglio entrare nel merito dei problemi che potrà avere un bambino con i genitori “troppo vecchi”, ma se ci si dovesse basare sul rischio di restare orfani allora nell’antichità non sarebbe nato nessuno, dato che le donne dell’epoca romana avevano una speranza di vita poco sopra i trent’anni. Per me, quando incontro una paziente, il problema principale è la responsabilità. La mia, naturalmente, ma anche la sua: si rende davvero conto di che cosa può significare una gravidanza? Ha valutato i pro e i contro? E, qualche volta, tentare è perfino più importante che riuscire». La molto discussa legge 40 del 2004 indicava già, nelle sue linee-guida, alcuni casi che sconsiglierebbero la fecondazione anche per le donne giovani: oltre al diabete e all’obesità, un indice di massa corporea troppo basso o altre gravi patologie croniche. «Per frenare la spesa su trattamenti sanitari, però, l’accesso alla procreazione assistita non dovrebbe essere deciso su un dato meramente anagrafico, bensì su alcuni parametri, come il dosaggio ormonale dell’Fhs », dice Luca Gianaroli, presidente del Sismer (Società italiana studi medicina della riproduzione). E sullo sfondo c’è anche il fantasma di un “mercato selvaggio”, lo stesso che ora produce il turismo verso Spagna e Ucraina di chi cerca un’ovodonazione. «Se la fecondazione con gli ovociti, gli spermatozoi o gli embrioni di terze persone venisse consentita in Italia — dice Flamigni — sarei il primo a suggerire limiti molto stretti per evitare la compravendita».

la Repubblica, 20 Settembre 2011, pag. 25


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