Un test degli scienziati del San Raffaele dimostra che il
cervello di un bimbo “parla fin dalla nascita”
L’ascolto di una fiaba, ad appena 48 ore dal parto,
attiva nei piccoli le zone neuronali del linguaggio
di Elena Dusi
Siamo nati per parlare. Forse nulla è più
inverosimile di un bambino che comprende una favola a due giorni dalla nascita.
Ma le immagini ottenute dai neuroscienziati del San Raffaele di Milano sul
cervello dei neonati, durante la lettura di una storia di Riccioli d’oro,
dimostrano che quello del linguaggio è un motore che corre a pieni giri fin dal
primo momento. Le aree dedicate alla comprensione e all’elaborazione delle
parole sono ancora prive di elementi e le connessioni fra i neuroni povere,
dato che il vocabolario è fatto di pagine bianche. Ma il ciak è già scattato, e
ci penserà il film del mondo a riempire di contenuti un recipiente che fin dal primo
giorno è già dotato di forma compiuta. «Le strutture neurali legate al
linguaggio sono perfettamente attive a due giorni di vita in entrambi gli
emisferi» spiega Daniela Perani, professoressa di neuroscienze all’università
Vita-Salute San Raffaele e autrice dello studio appena pubblicato su Pnas. I ricercatori
hanno sottoposto a varie tecniche di neuroimaging 15 bambini nati da 48 ore
nell’ospedale milanese. «Però si tratta di strutture ancora molto immature. Ci
sono infatti forti connessioni solo fra i due emisferi cerebrali, mentre negli
adulti l’attivazione del linguaggio è concentrata nell’emisfero sinistro».
La favola di Riccioli d’oro letta ai neonati
durante l’esperimento di oggi riusciva ad attivare le aree del linguaggio se
era letta con la giusta intonazione. Ma lasciava i bambini indifferenti quando
le parole erano pronunciate in maniera fredda e piatta, imitando la sintesi vocale
di un computer. «Dopo aver raccontato la storia normalmente, l’abbiamo ripetuta
eliminando del tutto la prosodia. Al bambino arrivava naturalmente lo stimolo
uditivo, ma l’attivazione delle aree del linguaggio si batteva drasticamente.
Era come se ascoltasse il suono di un martello pneumatico, qualcosa di non umano»
spiega Perani. Nei bambini piccoli - dimostra lo studio – è la prosodia a
guidare l’apprendimento del linguaggio. Le parole cariche di intonazioni e di
variazioni nell’altezza del suono (la cui comprensione è affidata soprattutto all’emisfero
destro, come per la musica) più facilmente si imprimeranno nella memoria con i
loro contenuti (elaborati dalle aree del linguaggio, che sono concentrate invece
nell’emisfero sinistro). L’equilibrio fra le due sezioni del cervello, notato
dai ricercatori del San Raffaele a due giorni di vita, si sfalderà gradualmente
per sfociare nella specializzazione dell’area sinistra del cervello, che avviene
intorno ai cinque anni di età e si mantiene da adulti.
Ai filosofi greci che si interrogavano sul
legame fra significato delle parole e realtà, alle ardite teorie sulla natura
divina del linguaggio e al dibattito moderno sull’esistenza di una grammatica
universale, le neuroscienze danno il loro contributo con gli strumenti che hanno
a disposizione. «La lingua nasce da una combinazione di “nature” e “nurture”,
cioè di biologia e ambiente» riassume Perani. «Il fatto che i circuiti
cerebrali del linguaggio siano pronti alla nascita conferma il ruolo della
biologia. Ma quei rari bambini che sono cresciuti senza essere esposti a parole
e discorsi, da grandi non hanno più imparato a parlare. Questo dimostra che
anche l’ambiente è fondamentale». E Charles Darwin, più abituato a osservare e
descrivere che a offrire conclusioni, forse si era avvicinato al giusto quando notava
perplesso che “il linguaggio non è vero istinto, perché deve essere imparato”.
Ma allo stesso tempo “è differente dalle altre arti” perché il bambino ha “una tendenza
istintiva a parlare, ma non certo a scrivere o fare il pane”.
La Repubblica, 12 settembre 2011, pag.49
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