Litigare fa bene anche ai piccoli
di
Eleonora Barbieri
a
certi manuali di psicologia buoni sta, e meno ancora alle illusioni
di convivenza perfetta che ci si immagina, rosicando, di intravedere
dietro a quelle famigliole che arrivano al parco con la merenda
biologica preparata dalla mamma, il papà che trasporta due bambini
in bicicletta e i piccoli sorridenti,
ubbidienti
e trilingue.
Fra
i sogni da ridimensionare c’è che i figli siano degli angioletti,
soprattutto con gli altri bambini: la prima volta che li vedrete
litigare, con l’amichetto o con la sorellina, sarà forse uno choc.
Il mio Davide, così bravo. Ma come è possibile? La domanda in
realtà è: ma come potevamo pensare che non bisticciasse? E
questo
non per giustificarli, anzi: per rimettere al loro posto azioni e
reazioni e pensieri, per ricalibrare gli atteggiamenti, per rilassare il sistema nervoso sovra eccitato dagli input provenienti da in figli da un lato, e dal mondo esterno i per giudicante dall’altro. Il pedagogista Daniele Novara sdogana il tabù in un libro, Litigare fa bene (Bur). Il sottotitolo è: «Insegnare ai propri figli a gestire i conflitti,per crescerli più sicuri e felici». È qualcosa che i genitori devono cercare di insegnare ai figli,è vero,ma è anche qualcosa che i genitori stessi devono imparare: tirarsi fuori, fare un passo indietro di fronte ai litigi fisiologici e quotidiani (non alla violenza, che è altro), fare uno sforzo per non intervenire in continuazione.
Alla
base c’è una convinzione, che ribalta il luogo comune: non è vero
che «i bravi bambini non litigano». Lo fanno eccome, e così
crescono, e possono diventare adulti che sapranno risolvere le
questioni in modo diverso dal litigio infantile (sono molti gli
esempi di persone che decisamente non ci sono riuscite).Quindi, seno
in funzionano i metodi «correttivi» di una volta (litigate? le
prendete entrambi), non è efficace nemmeno l’interferenza costante
e ansiosa del genitore di turno.
Anche
se poi «gestire il conflitto » è una frasetta magica, che sembra
semplicissima, ma che concretamente richiede energie, concentrazione,
fatica, applicazione mentale e fisica, come sempre coi figli, del
resto. Però è una regola che infrange il politicamente corretto che
si presume aleggi tra le mura di casa e che ha invaso tutte le
relazioni, al meno in teoria. Invece, come diceva Eraclito (due
millenni e mezzo fa), polemos è il padre di tutte le cose,di tutte
re: il conflitto che non è mai soltanto negativo, bensì è la
realtà che diviene, e quindi ovviamente è da sciocchi (o da illusi)
tentare di respingerla, o negarla, o difendersi da essa. Anche se
spesso viene naturale comportarsi da sciocchi e da illusi. Qualcuno,
più cinico o più sicuro di sé, riesce ad ammettere le proprie
mancanze, a non farsene schiacciare e a trasformarle in punto di
forza: come il protagonista del Diario
del cattivo papà di
Guy Delisle (Rizzoli), che per divertirsi si finge sanguinante per
spaventare il figlio, o che legge il giornale anziché ascoltare i
bambini; o come il padre separato di Tutti
mi danno del bastardo di
Nick Hornby (Guanda), di cui la ex moglie racconta le nefandezze
nella sua seguitissima rubrica settimanale, «Bastardo», con tanto
di logo, «il disegno di uno sfigato, tutto cravatta, baffi e occhi
scintillanti di lascivia». È vero, è facile essere simpatici auto
dichiarandosi malfatti, ma è anche impossibile pretendere che tutto
sia sempre perfetto, quando ovviamente non lo è mai.
il
Giornale, 29 ottobre 2013, pag, 18
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