È pericoloso? I medici si
dividono
Ma sui rischi generali i
pareri sono discordi. Il pediatra: dove va un padre può andare il figlio
di Federico Genta
I risultati dell’autopsia, disposta dalla
procura di Torino, scagionano i genitori e la loro decisione di raggiungere le
vette della Valgrisenche. Ma il dibattito, sull’opportunità di portare con sé
un lattante in alta montagna, non si ferma. Se i medici sono d’accordo sulla
necessità sembrano tutti d’accordo sulla necessità di prestare la massima
attenzione al luogo dove il bambino dovrà riposare, restano divisi sui rischi
legati alle trasferte in alta quota.
La mancanza di casi
impedisce posizioni condivise
Troppi
rischi
Guido Giardini è il
responsabile dell’ambulatorio di Medicina di montagna di Aosta e presidente
della Società italiana medicina di montagna. «Al di là del caso specifico,
sconsigliamo sempre alle famiglie di superare i 2.500 metri con bimbi che non
hanno ancora compiuto un anno. Questo perché non sono ancora in grado di
esprimersi: dovessero accusare i primi sintomi del mal di montagna non
saprebbero come comunicarlo a mamma e papà».
Il discorso cambia quando si parla di «già
acclimatati». «Chi è nato o vive in montagna, correrà evidentemente meno rischi
a salire ulteriormente. Per tutti gli altri, lo ripeto, è meglio aspettare».
Leggende metropolitane Una posizione che non
sembra trovare conferme nelle parole di Giuseppe Ferrari, primario emerito
della divisione di pediatria e neonatologia dell’ospedale Mauriziano.
«Ai genitori che mi chiedono consigli rispondo
sempre che dove arriva un padre può arrivare suo figlio -
commenta - Non c’è
nessuno studio scientifico che confermi rischi reali per un bimbo sano che
viene portato gradualmente in quota. Nel nostro mestiere non possiamo basarci
su quelle che non sono altro che pure leggende metropolitane».
L’attenzione maggiore, piuttosto, deve essere
rivolta agli ambienti che accoglieranno il lattante. «E’ meglio evitare locali
troppo caldi e magari affollati, come i dormitori. I bimbi devono riposare su
un letto abbastanza grande senza essere troppo coperti. Sono precauzioni
semplici che non valgono solo per chi spinge fino a un rifugio. Sono importanti
anche per chi deve trascorrere qualche giorno al mare».
Vince il buon senso
Chi preferisce non
sbilanciarsi in considerazioni nette è il primario dell’ospedale infantile
Regina Margherita, Alessandro Vigo. È responsabile del centro regionale per la
morte improvvisa del lattante. «Proprio perché non ci sono numeri importanti
per definire un quadro preciso dei rischi, trovo doveroso far prevalere il buon
senso - considera – Per questo non incoraggerei mai una coppia a portare un
bambino così piccolo in un luogo impervio».
Vigo in ogni caso non vuole
in alcun modo condannare i genitori di Elia. «Hanno seguito un percorso lento
proprio per far abituare il figlio alla riduzione d’ossigeno. Il fatto che
fosse al rifugio da 5 giorni, dimostra che la disgrazia non ha alcuna relazione
con le condizioni esterne. Alle volte anche tutte le attenzioni possono non
bastare».
La
vetta
Il rifugio Degli Angeli di
Valgrisenche, in Valle d’Aosta, che gli stessi genitori di Elia Giannelli, otto
mesi, hanno contribuito a riaprire, nel 2006. A Ferragosto, il bambino è stato
trovato avvolto nel suo sacco a pelo, in arresto cardiaco
La Stampa, 20 agosto 2013,
pag, 49
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