Un posto per ogni nato
La rivoluzione tedesca: così
le donne potranno lavorare
di Mara Gergolet
Era il 2008, quando il sindacato IG Metal per
primo lanciò l’idea del «diritto a un posto in asilo». Mirava ad affrontare un
problema strategico dell’industria tedesca: le poche donne che lavorano,
soprattutto dopo il primo figlio. Se è vero che il 68% delle donne hanno
un’occupazione, il 45% di queste però sceglie il part-time: la più alta
percentuale in Europa dopo l’Olanda. E poi c’è l’altra statistica che angoscia
i tedeschi: la bassa natalità, 1,37% figli per donna, che scatena l’invidia per
Paesi come la Francia, con i suoi 1,9 figli per donna e l’apparente facilità, e
felicità, nel conciliare famiglia e carriera.
La Germania, insomma, doveva cambiare. Il
progetto porta la firma di Christina Schröder, 35 anni e madre di un bambino.
Lei assicura che tutto è pronto: 778.000 posti a soddisfare le richieste. In
realtà, in Germania i bambini tra 1 o 3 anni sono 2,1 milioni, ma di questi nel
2012 solo 558 mila sono stati affidati a un nido. Si calcola che l’aggiunta di 200 mila posti
basterà, poiché molti preferiscono accudire i più piccoli da sé o affidarli ai
nonni.
Certo, siamo lontani dal Nord Europa. In
Danimarca, per esempio, va al nido il 73% dei bambini, e il diritto all’asilo è
da un decennio assorbito nelle legislazioni dei Paesi scandinavi. Meglio
l’Inghilterra, meglio perfino Paesi mediterranei più sperimentatori nel sociale
come la Spagna (39%). Né la Germania può sognare i risultati della Danimarca,
dove un mix di offerta per l’infanzia e flexibility occupazionale per i
genitori fa tornare al lavoro l’83% delle donne dopo il parto. Ma almeno la
soglia di posti-nido per il 33% dei bambini, fissata dal trattato di Lisbona,
in Germania è stata raggiunta.
Come funzionerà concretamente il piano? Cosa
succede se il bimbo, detentore del suo nuovo diritto sociale, non trovasse
posto al nido? La legge prevede che i genitori possano fare causa al comune:
questo poi dovrà provvedere a una sistemazione, tra pubblico e privato, entro
tre mesi. Oppure il genitore, costretto a restare a casa con il figlio, sarà
risarcito. Ed è proprio su questo punto che nei prossimi mesi si prevedono una
serie di battaglie legali, e di questioni etiche che i giudici dovranno dirimere:
un disoccupato ha diritto a un indennizzo minore di un/a manager che, causa
asili pieni, non può tornare alla scrivania?
Il governo federale ha investito
pesantemente: 5,4 miliardi per nuove strutture, molto hanno speso comuni e
Land. Eppure, al via, c’è una mappa della Germania a chiazze: a Berlino
avanzano 4.100 posti, a Francoforte ne mancano 4.000.
Per la ministra Schröder sarà comunque una
settimana di fuoco. L’altro pilastro della sua riforma, il Betreuungsgeld,
l’assegno mensile per l’accudimento da casa, sembra procedere meno spedito.
Un piano che ha scatenato vere
battaglie ideologiche. Voluto dalla Cdu, il partito-Stato della cattolica
Baviera, è stato denunciato dai detrattori come un assegno in bianco a suoi
elettori, il ritorno all’ideologia della tre K — Kinder, Kirche, Küche — che
vuole la donna impegnata ai fornelli, in chiesa o con i bimbi. Ebbene, finora
per questo programma — pe r il quale la Schröder ha in cassa 2 miliardi — si
sono fatte avanti poche migliaia di famiglie: 1200 nel Baden-Württemberg, 500
in Baviera, 41 a Berlino. Sarà un fallimento o il trend evolverà?
«La Germania è cambiata — dice Vita Petra
Nölkel, vicepresidente dell’Unione delle famiglie — Nessuno più dice, come
capitava a me, donna snaturata perché lavoravo». Per i modelli d’innovazione
forse meglio guardare alla Danimarca. Ma la Germania — sì, anche sui temi
femminili — da tempo non è più immobile.
Corriere della Sera, 31 luglio 2013, pag, 21
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