di Carlo Casini
.jpg)
Orbene: tutti vorremmo alleviare le sofferenze
dei disabili, ma non a costo di negare la loro stessa umanità; non a costo di
negare l’identità di esseri umani a tutti i nascituri. Se «l’evento di danno è
costituito dalla nascita malformata, intesa come condizione dinamica
dell’esistenza riferita a un soggetto di diritto attualmente esistente» (pag.
68 della sentenza), se «la libertà individuale è più importante della dignità
umana» (pag. 65), allora la deriva è terribile. Il danno colpisce anche la
società e l’aborto diventa un dovere; la condizione dannosa dell’esistenza è eliminata
anche dopo la nascita con la morte; il disabile può chiedere il risarcimento
non solo al medico, ma anche alla madre che non ha esercitato il suo diritto di
autodeterminazione nell’interesse del figlio: anzi, il danno provocato consapevolmente
(cioè dolosamente) dalla madre è più grave di quello provocato
inconsapevolmente (cioè colposamente) dal medico. Con la motivazione della
sentenza qui commentata, la deriva iniziata nel 1975 arriva alla sua
conclusione. Salta il compromesso che si pretese di operare tra opposti diritti
della madre e del figlio. L’ipocrisia non nasconde più il volto dell’iniquità
più estrema.
La sentenza del 1975 tentò, almeno, di
mantenere la legittimità dell’aborto nella cornice dello "stato di necessità":
chi offende un altro non commette illecito se agisce per salvare sé o altri da
un reale pericolo proporzionato al male che, per evitarlo, produce. Ma se non usa
questo suo legittimo potere nessuno può chiedere un risarcimento perché il
danno al terzo non è stato provocato.
Dicevano: «L’aborto è un dramma, non è un
diritto». Hanno difeso la legge 194 ricordando che l’articolo 1 dichiara la
tutela della vita umana fin dal concepimento; sostenendo che l’aborto è
consentito in pochi accertati casi e mai per ragioni eugenetiche; proclamando
che la norma ha lo scopo di difendere la vita attraverso l’emersione dalla clandestinità
e l’incontro della gestante con la società. Sapevamo che questi tentativi sono
un inganno, ma ora la sentenza del 2 ottobre rende ancor più evidente ciò che
della legge scrisse La Pira («integralmente iniqua»). Alla radice vi è la
negazione della umanità del concepito. Tanto più opportuna si rivela, perciò, l’iniziativa
europea «Uno di noi»: un grido tanto breve quanto forte che raddrizza le
tortuosità della ragione e restituisce verità al diritto. Nel momento in cui
finisco di scrivere questo articolo mi viene trasmessa la relazione ministeriale
sulla 194.
Essa mi conferma la deriva di cui parlavo. Il
ministro Balduzzi pensa di ridurne la dimensione sottolineando il ruolo dei
consultori familiari e della sentenza citata del 1975, ma dimentica l’enorme
quantità di aborti occulti cagionati con la pillola del giorno dopo e dei
cinque giorni dopo. Quantomeno per erigere una seria diga contro la deriva è
necessario riconoscere che il concepito è un essere umano a pieno titolo. In
caso contrario, non può negarsi che l’ipocrisia e l’inganno sono un supplemento
di ingiustizia della legge.
* presidente del Movimento
per la vita
Avvenire, 10 ottobre 2012,
pag, 6
Nessun commento:
Posta un commento