
I numeri del dramma I dati raccontano dunque
che nel 2011 gli aborti sono stati 109.538, meno 5,6% rispetto al 2010 (115.981
casi) e un decremento del 53,3% rispetto al 1982, anno in cui si è registrato
il più alto ricorso alla cosiddetta interruzione volontaria di gravidanza
(234.801 casi). Il «tasso di abortività» (numero di aborti per 1.000 donne in
età feconda tra 15-49 anni), definito come «l’indicatore più accurato per una
corretta valutazione della tendenza al ricorso all’Ivg», nel 2011 è risultato
pari a 7,8 per 1.000, con un decremento del 5,3% rispetto al 2010 (era 8,3 per 1.000).
Il dossier afferma che il valore italiano «è tra i più bassi di quelli
osservati nei Paesi industrializzati». Assai più inquietante il «rapporto di
abortività», 202,5 aborti ogni 1.000 nati vivi, con un
decremento del 2,8% rispetto
al 2010.
Uno su tre è di una straniera Continua a
crescere la quota di aborti di non italiane, che raggiunge nel 2010 il 34,2% del
totale, ovvero 38.331 aborti. Nel 1998 la percentuale era del 10,1%. Un aumento
legato ovviamente alla crescita della popolazione immigrata nel Paese.
Significativo il confronto sul tasso di abortività: per le italiane nel 2009 era
pari al 6,9 per 1.000 donne in età feconda, tra le donne provenienti dai Pfpm (Paesi a forte pressione migratoria) è quasi
il quadruplo, 26,4 per 1.000. Sulla decisione delle straniere potrebbero pesare
diversi elementi: la condizione economica più svantaggiata, la mancanza di una
rete familiare di sostegno, la cultura del Paese di origine: la metà degli
aborti delle immigrate è di cittadine dei Paesi dell’Est europeo, pari a
19.562. Tra le africane sono stati 6.949, tra le latinoamericane 5.551, tra le
asiatiche 5.961. Stabile nel tempo il dato sul secondo aborto: 27,2%, lo stesso
dal 2006. Anche qui è più basso (21,6) tra le italiane che tra le straniere
(38%).
Ru486, boom fasullo La relazione per la prima
volta riporta i dati sull’aborto chimico, "bandiera" di una battaglia
ideologica. L’aborto chimico, solitamente praticato senza ricovero, nel 2010 è
stato introdotto dal mese di aprile. In nove mesi ne sono stati praticati 3.836
casi, 426 al mese, pari al 3,3% del totale delle interruzioni di gravidanza
dell’anno. Cresce nel 2011, anche se i dati sono solo sui primi sei mesi:
3.404, cioè 567 al mese. Ipotizzabile quindi che a fine anno saranno stati meno
di 7 mila, circa il 6% del totale. Indicativo il dato regionale: il ricorso
all’aborto chimico, solitamente con dimissioni volontarie in giornata, è appannaggio
soprattutto di alcune regioni come Piemonte (1.356 casi), Emilia Romagna (2.271),
Toscana (760). Cioè quelle che avevano spinto per la Ru486, importandola quando
non era ancora stata autorizzata. In Lombardia, una delle regioni più popolose,
sono stati "solo" 444.
Cala l’obiezione di coscienza dei medici Da
registrare dal 2010 una leggera flessione dell’obiezione tra ginecologi e
anestesisti, dopo l’aumento degli ultimi anni. I ginecologi sono passati dal
58,7% del 2005, al 71,5% del 2008, al 69,3% nel 2010. Analoga contrazione tra
gli anestesisti, negli stessi anni: dal 45,7% al 50,8%. Cresce invece tra il
personale non medico: dal 38,6% nel 2005 al 44,7% nel 2010. Percentuali
superiori all’80% tra i ginecologi principalmente al sud: 85,2% in Basilicata,
83,9% in Campania, 85,7% in Molise, 80,6% in Sicilia, come pure a Bolzano con
l.81%. Consultori da potenziare La relazione introduttiva, firmata dal ministro
della Salute Renato Balduzzi, afferma che «nel tempo i consultori non sono
stati, nella maggior parte dei casi, potenziati, né adeguatamente valorizzati».
Si conferma quindi «la necessità di una maggiore valorizzazione dei consultori
familiari quali centri primari di prevenzione» dell’aborto, «in collaborazione
con servizi sociali dei comuni e con il privato sociale», con una «specifica
attenzione verso i gruppi di donne straniere».
Il
numero di bambini «mancanti» è pari alla
popolazione di una città come Arezzo o Lecce Ma 30 anni fa erano 234 mila
Avvenire, 10 ottobre 2012,
pag,3
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