Gli esperti: mai prima dei
tre anni e lasciati da soli
di Elvira Serra
Succede spesso alle nonne-sitter. Sfinite da
un pomeriggio intero con la peste quattrenne si arrendono e accendono il
televisore: effetto ipnosi assicurato, il nipote si immobilizza e tace. In
genere resta un segreto tra anziana vittima e inconsapevole carnefice, perché
mamma e papà sono contrari alla tivù. Quegli stessi genitori, però, non esitano
a mettere un tablet nelle mani dell’erede ipercinetico durante un lungo viaggio
o prima di cena: anche lì, la voce argentina sparisce, riportando la calma
nello scompartimento del treno o in cucina. Cosa cambia tra le due strategie?
Niente, se l’obiettivo era neutralizzare il «pupo mannaro». Molto, se si
ragiona sugli effetti dei due alleati tecnologici. Aiutano il piccolo o
l’adulto?
La rivista specializzata Archives of Disease
in Childhood ha appena pubblicato un articolo che lancia l’allerta sui bambini
ossessionati dalla tv. Punta il dito sui conseguenti disturbi
dell’apprendimento e fisici (l’obesità anzitutto). E auspica che anche il Paese
di Sua Maestà elabori linee guida simili a quelle già redatte in Canada, Stati
Uniti e Australia, che fissano restrizioni come per il consumo dell’alcol (a
dire la verità, con scarsi risultati: un adolescente nordamericano spende otto
ore di fronte a uno schermo, contro le sei di un britannico). Di qui
l’allarme
rosso per i più piccoli, rilanciato dal Guardian, perché l’età più critica va
da zero a tre anni, quando è indispensabile interagire con gli occhi di mamma e
papà.
Eppure tablet e strumenti multimediali fanno
parte del mondo di oggi. Impossibile non tenerne conto. A San Donato Milanese,
nel nido scuola Eni 06 frequentato da 168 bambini da tre mesi a sei anni, tutti
i giorni vengono utilizzati grandi monitor, cornici elettroniche, iPad,
tavolette grafiche, scanner e pc: quello digitale è uno dei cento linguaggi che
stanno alla base del progetto pedagogico messo a punto da Reggio Children. E
niente tivù: rende troppo passivi. «È inutile demonizzare gli strumenti, sono
nel mondo e chi lo esplora non può non entrarne in contatto. È vero che sono
potentissimi. Mi viene in mente un volo Canada-Italia: avevo accanto un piccolo
di 4 anni che per tutto il tempo ha giocato con il tablet, vicino c’era la
mamma che si prendeva cura della figlia più piccola. Immagino sia stata la
soluzione più comoda per far funzionare il viaggio. Ecco, mi preoccupa
maggiormente un bambino lasciato solo per ore davanti al televisore», spiega
Susanna Mantovani, psicologa e pedagogista, prorettore all’Università
Milano-Bicocca, che ha contribuito a far nascere l’asilo Eni.
Paolo Ferri, docente di
Teorie e tecniche dei nuovi media, è coautore di Bambini e computer e Digital
kids (entrambi nEtas). Anche lui smorza sui rischi di tablet e affini. «Sotto
l’anno non li farei mai usare. Ma fino ai tre anni, la loro attenzione è
davvero limitata, si stufano in fretta. La curiosità va inquadrata nel
comportamento esplorativo, identico di fronte a un giocattolo
"povero". Trovo più passivizzante la tv di un iPad, che invece è una
via di mezzo tra qualcosa di animato e qualcosa di inanimato: per un bimbo equivale
a un gatto che all’improvviso fa miao, li sorprende. In definitiva, una
"dieta mediale variata" fa bene. Purché vigilata da un adulto: mai
lasciare i bimbi da soli con delle macchine».
Sulla tempistica non esiste unanimità. Paolo
Curatolo, ordinario di Neuropsichiatria infantile a Tor Vergata, boccia
totalmente una esposizione precoce ai tablet. «Prima dei tre anni è troppo
presto. Può avere senso quando si va alla scuola primaria, per sviluppare le
abilità multitasking che oggi la società richiede». Mentre lo psicoterapeuta
dell’età evolutiva Fulvio Scaparro non se la sente di porre veti, salvo per la
tivù in camera da letto: «Un bambino non può mai essere responsabile di ciò che
vede. I tablet fanno parte del contesto contemporaneo, come ai nostri tempi c’era
il telefono a disco. Se i piccoli sono curiosi e si divertono, non ha senso
farsi troppe domande e lasciarli giocare. Purché sia un processo naturale,
senza pensare: deve cominciare subito sennò resta indietro».
Corriere della Sera, 10 ottobre
2012
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