Alla ricerca del modello per la crescita

Neonati I primi risultati dello studio globale su cinquemila donne, dalla gravidanza alla nascita che coinvolge il Sant’Anna di Torino

Di Sara Strippoli
  
 Un neonato cinese o africano e un piccolo torinese hanno la stessa probabilità di crescere bene e le differenze fra loro sono meno marcate di quelle che potrebbero esserci fra due neonati italiani se uno dei due, e le loro mamme, vivono in condizioni meno ottimali per situazione ambientale ed economica. Conta meno, in sostanza, l’appartenenza a diverse etnie che i comportamenti come fumo, uso di alcol o farmaci o tendenza ad avere figli più in là negli anni. La globalizzazione omologa dunque anche la vita del feto, il benessere della donna incinta, le possibilità dei neonati di crescere sani, il numero delle nascite pretermine.
  Josè Villar è argentino ma vive ad Oxford dove dirige il dipartimento di ostetricia e ginecologia dell’Università
britannica e nella hall di un hotel del centro di Torino racconta questo progetto da lui coordinato che si chiama Intergrowth 21st e mette a confronto, in uno studio longitudinale partito nel 2004, cinquemila donne in gravidanza scelte all’interno di otto paesi, dall’Asia all’Africa, dall’Europa agli Stati Uniti. Sottolinea il valore sociale e biologico di questa indagine internazionale, che ha come obiettivo stabilire un modello di crescita dei feti e dei neonati a termine e pretermine in un sano contesto sociale, economico e ambientale. «Siamo partiti dall’osservazione che la crescita dell’embrione nei primi tre mesi di vita non presenta differenza nei diversi gruppi etnici e stiamo ora studiando la crescita fino al termine di gravidanza. Nello stesso periodo stiamo seguendo la crescita dei neonati pretermine fino a un anno».
  «La selezione dello studio è molto severa», interviene Enrico Bertino, direttore della neonatologia universitaria dell’ospedale Sant’Anna, unico centro dell’Europa continentale a partecipare alla ricerca eseguita in collaborazione con l’unità materno fetale diretto da Tullia Todros e con i consultori, «le donne studiate devono avere fra i 18 e i 35 anni ed avere uno stile di vita sano. E non è stato facile trovare le oltre duecento donne di Torino incluse nella ricerca, l’età della gravidanza nelle donne italiane si è spostata in avanti e anche il fumo è un fenomeno in crescita ». «L’obesità è una delle caratteristiche per le donne americane, ma è in crescita anche in India e in Cina», ricorda Villar. Fra un anno ci saranno i primi risultati del proseguimento dello studio dei feti e sui neonati. «I risultati », racconta Bertino, «saranno utili  ll’Organizzazione mondiale della sanità che ha nella salute dei bambini uno dei suoi obiettivi principali». Le anomalie di crescita durante il periodo fetale e nei primi mesi di vita sono risultate associate in adolescenza e in età pediatrica a disturbi dello sviluppo neuro cognitivo e ad aumentato rischio di malattie metaboliche quali diabete, ipertensione e obesità.

 Repubblica, 19 aprile 2011, pag. 40

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