«“Naturale” uguale “sano”
? Una bufala ormai scaduta»

Lo studioso nel suo nuovo libro smonta le tesi di ambientalisti e nutrizionisti «Se tutta l’agricoltura fosse biologica, la fame nel mondo aumenterebbe

  di Eleonora Barbieri

 
  Naturale. Però non si sa bene quanto, e in che termini. Che ciò che è o si spaccia per «naturale» sia anche tale e, per questa unica ragione, sia anche «meglio», è ormai dato perlopiù per scontato. Chi non sceglierebbe una mela naturale, un cosmetico naturale, un cibo prodotto con metodo naturale... Ma Naturale uguale buono? si intitola un libro appena pubblicato da Carocci (pagg. 256, euro 19): e la domanda è lecita, in un mondo in cui la «religione della natura», come la chiama l’autore Silvano Fuso (chimico e divulgatore scientifico) ha reso un aggettivo sinonimo di (presunta) garanzia di sicurezza e qualità, un’assicurazione di superiorità, di avere compiuto, in qualche modo, la scelta giusta. Ma che cosa significa naturale?

  «Ecco, io farei questo esempio. Le dighe dei castori o i termitai hanno una complessità avanzata, però li definiamo naturali. Invece i manufatti umani, per esempio stesse le dighe, li consideriamo artificiali». 

  Perché? «Appunto. Perché? Anche l’homo sapiens appartiene alla natura. E i biologi evoluzionisti mostrano che ogni specie modifica l’ambiente in cui vive. Da decenni però esiste una religione della natura, che le attribuisce un’aura di sacralità per cui ogni sua modifica è considerata negativa». 

  Non è giusto difendere la natura, secondo lei?«Ma a volte gli ambientalisti diventano dei fondamentalisti nella tutela della natura. Che non è né buona né cattiva: è sbagliato trasferire su di essa valori umani. Si pensi alla sessualità»

  Che cosa c’entra la sessualità? 

  «Beh, molte persone ritengono che certi comportamenti siano contro natura, ma che cosa significa? Fra gli animali il campionario è sconfinato, dalla necrofilia alla pedofilia fino al sesso con altre specie... Cose che a noi ripugnano, però è assurdo definirle contro natura».

   Perché in natura ci sono.

   «Questo per dire che il “naturale” è un mito: ci sono tantissime cose perfettamente naturali e pericolose, dai veleni alle tossine, perfino le malattie... Che cosa c’è di più perfettamente naturale di una malattia?»  

Quindi, per rispondere alla domanda che poi è il titolo del suo libro, naturale non è uguale a buono? 

  «È un mito privo di fondamento. Ogni cosa va valutata per quello che è, indipendentemente dalla sua origine. Come i prodotti biologici. Gli studi scientifici mostrano che non offrono vantaggi quanto a proprietà nutrizionali e organolettiche e a sicurezza». 

  Però alcuni difendono l’agricoltura biologica perché ha un impatto minore sull’ambiente. 

«È vero solo se ci si riferisce all’unità di superficie agricola coltivata; non se si considera l’unità di prodotto ottenuto, perché la resa per ettaro è inferiore. Se tutta l’agricoltura fosse convertita al biologico, la fame nel mondo aumenterebbe a dismisura e il disboscamento arriverebbe a livelli folli. Con problemi ambientali enormi». 

  Però il biologico gode di grande popolarità.

   «Diciamo che è il lusso che le società ricche possono permettersi. E deve rimanere tale, di nicchia, altrimenti non sarebbe sostenibile».

  E la sicurezza alimentare? 

 «È dimostrato che le percentuali di pesticidi residui sui prodotti, anche in quelli dell’agricoltura tradizionale, sono minime e non compromettono la salute dei consumatori. Insomma non ci sono vantaggi».

   E gli additivi? I conservanti? 

  «Se non usassimo i conservanti, i rischi per la salute sarebbero molto maggiori. Si parla tanto di quanto siano buone la marmellata e la salsa fatte in casa ma, senza competenze adeguate, il rischio di contaminazioni batteriche è alto, più che a livello industriale». Spesso anche dai supermercati vengono ritirati prodotti contaminati. 

  «Certo, l’errore o la frode sono sempre in agguato. Però le norme esistono, e gli organi di controllo vigilano. Invece i prodotti casalinghi non li controlla nessuno. Ma poi, guardi, nessun prodotto è naturale».

   In che senso?

   «Mele, arance, patate: tutto quello che vediamo è frutto di selezioni e modifiche fatte dall’uomo nei secoli, attraverso le tecniche agricole. Una agricoltura naturale non esiste». 

  Tutto dipende da come si modifica... «Per millenni l’uomo ha selezionato e modificato, ma in modo grossolano. Oggi con tecniche di ingegneria genetica possiamo farlo più velocemente e in maniera mirata. Molti ne hanno paura, ma i risultati dicono che i presunti rischi degli ogm in realtà non esistono». 

    Ma lei non preferisce un prodotto a chilometro zero a uno ogm? 

  «Guardi, c’è una frase che riporto nel libro, in cui Carlo Petrini parla dei peperoni astigiani sostituiti dai tulipani olandesi, lamentandosi della perdita di prodotti tipici». 

  E non è un peccato? 

  «Ma anche i bambini sanno che i peperoni sono arrivati in Europa dall’America, prima non li coltivava nessuno. Parliamo di una naturalità e una tipicità totalmente artificiose: sono solo ciò a cui la gente è abituata».

  Vale anche nell’ambito della salute?

  «Certo, si pensi al movimento contro i vaccini. 

  È da scriteriati combatterli: hanno aiutato a salvare milioni di vite. Se le percentuali di popolazione vaccinata scendono sotto certi limiti rischiamo il ritorno di alcune malattie ormai quasi debellate. Come la difterite o il morbillo». 

  Ma i rischi delle vaccinazioni? 

  «Parliamo di effetti collaterali noti e in percentuali irrisorie di fronte a un beneficio enorme. Per non parlare poi dei rischi inventati di sana pianta, come quelli sui legami fra il vaccino trivalente e l’autismo: una frode di un medico inglese, poi radiato, che però ha ancora effetti sull’immaginario collettivo»

Ma perché il «naturale» ha così presa? 

  «Penso che questi atteggiamenti siano un lusso delle società ricche e progredite. Se vivessimo in condizioni più disagevoli nessuno proporrebbe di tornare all’agricoltura biologica o di rifiutare i vaccini». 

  È colpa del benessere?

   «Il fatto è che, quando abbiamo il benessere, paradossalmente si crea una diffidenza verso ciò che l’ha creato, cioè scienza e tecnologia. Ogni specie cerca di difendere se stessa, anche a danno delle altre. Noi però, grazie alla scienza, siamo capaci di prevedere gli effetti sull’ambiente delle nostre scelte».

   Quindi in certi casi sappiamo che stiamo sbagliando? 

  «Sappiamo che alcune scelte possono ritorcersi contro di noi, se distruggiamo l’ambiente in modo dissennato. Perciò dobbiamo fare dei bilanci fra rischi e benefici, però in modo razionale, non fideistico o ideologico». 

il Giornale,  1 febbraio 2016, pag, 22 

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