Dobbiamo tornare a credere nelle regole, seguirle per primi e farle rispettare ai nostri ragazzi Perché una sgridata con le parole giuste, anche davanti a tutti, ha molto da insegnare
di
Rita Querzé
Rocco
ti prego? Ti prego? Ma non sarebbe stato molto meglio un «Rocco,
mettiti in questo angolo e guai a te se ti muovi di un millimetro».
Oppure: «Rocco, le cose degli altri vanno rispettate più delle
proprie! O ti metti fermo qui con la tua macchinina o usciamo
immediatamente. E per punizione niente videogiochi per una
settimana».
Il
dubbio sorge legittimo: non sarà arrivato il momento di recuperare
un po’ di rigore nell’educazione dei figli? Vista la delicatezza
dell’argomento, pare più onesto giocare a carte scoperte. Chi
scrive non è uno psicologo ma solo una mamma. Però non ha dubbi
sulla risposta: «Sì, il momento è arrivato di mettere un po’ di
sani limiti ai nostri ragazzi». Vogliamo davvero tirare su una
generazione di adulti fragili, maleducati ed egoisti? Senza contare
che il futuro dei nostri figli sarà in salita. E allora meglio
insegnare subito loro ad arrampicare. Alla fine è tutto più
semplice di quanto sembri. Si tratta solo di mettere delle regole,
rispettarle per primi e farle rispettare ai nostri ragazzi. Con
amore, sì. Ma anche con fermezza.
Partiamo
dall’ABC. Ormai per nulla scontato. A tavola non si rutta. Nessuno
se ne va prima che il pasto sia finito e quando ci sia alza si
chiede: «Posso andare?». Il cibo non si spreca e si mette nel
piatto solo quello che si ha davvero intenzione di mangiare. Non si
picchiano fratelli e compagni, non si dicono parolacce, non si
risponde a male a nessuno, tanto meno alla nonna, allo zio o al
vicino di casa. Anche se non ti stanno simpatici. Troppo? Macché: è
la base. E chi non rispetta le regole si guadagna una punizione.
Termine passato di moda. Basta vedere l’espressione della mamma del
compagno di classe quando alla cena di compleanno riprendi
un’intemperanza di tuo figlio: «Ma non è che così davanti a
tutti poi ci resta male?». Forse. Ma avrà imparato qualcosa. E poi
l’alternativa sarebbe fare un predicozzo una volta tornati a casa,
quindi dopo ore. Non servirebbe a nulla.
Certo,
c’è il rischio di passare per mamma-nazi. Pazienza. Quel che conta
è il risultato. E non superare mai il limite dell’umiliazione.
«Rimproveri sì, umiliazioni mai», dice anche la psicologa Silvia
Vegetti Finzi. Alla fine il maggior sollievo si ha dai propri
ragazzi. Quando ti dicono, orgogliosi e forti: «Mamma, hai visto
quel bambino come è viziato? Fa soltanto capricci».Per finire c’è
l’ultimo tabu, quello della sculacciata. Guai a sfiorare il
ragazzino, pena turbe eterne. Il consiglio d’Europa condanna la
Francia per non avere un «divieto chiaro, vincolante e preciso delle
pene corporali», tra cui schiaffi e sculacciate, violando così
l’articolo 17 della Carta europea dei diritti sociali. Tra i Paesi
da richiamare ci sarebbe anche l’Italia. Sia chiaro, picchiare un
bambino non è solo sbagliato: è anche una sconfitta. Ma se scappa
una sculacciata in un momento di esasperazione dobbiamo davvero
fustigarci all’infinito? Forse basta chiedere scusa. E ammettere
che anche mamma e papà non sono infallibili
Corriere
della Sera. 14 marzo 2015, pag, 45
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