Punire una piccola peste

 Bisogna farlo ma «bene»


Dobbiamo tornare a credere nelle regole, seguirle per primi e farle rispettare ai nostri ragazzi Perché una sgridata con le parole giuste, anche davanti a tutti, ha molto da insegnare


di Rita Querzé
 
  Negozio di lampadari, centro di Milano, sabato mattina. Una signora bionda e asciutta, sobrio stile meneghino, entra con il figlioletto dagli occhi cerulei. Seisette anni, non di più. Non fa in tempo a sopirsi l’eco del campanello della porta d’ingresso che il biondo angioletto in golf azzurro si trasforma in una furia indiavolata. Solleva una lampada, fa caracollare un paralume, urta un’applique sotto gli occhi delle commesse con il fiato sospeso. E la mamma? Imperturbabile. «Rocco ti prego, non fare così, caro. Non vedi che dai fastidio al signore?»

  Rocco ti prego? Ti prego? Ma non sarebbe stato molto meglio un «Rocco, mettiti in questo angolo e guai a te se ti muovi di un millimetro». Oppure: «Rocco, le cose degli altri vanno rispettate più delle
proprie! O ti metti fermo qui con la tua macchinina o usciamo immediatamente. E per punizione niente videogiochi per una settimana».

  Il dubbio sorge legittimo: non sarà arrivato il momento di recuperare un po’ di rigore nell’educazione dei figli? Vista la delicatezza dell’argomento, pare più onesto giocare a carte scoperte. Chi scrive non è uno psicologo ma solo una mamma. Però non ha dubbi sulla risposta: «Sì, il momento è arrivato di mettere un po’ di sani limiti ai nostri ragazzi». Vogliamo davvero tirare su una generazione di adulti fragili, maleducati ed egoisti? Senza contare che il futuro dei nostri figli sarà in salita. E allora meglio insegnare subito loro ad arrampicare. Alla fine è tutto più semplice di quanto sembri. Si tratta solo di mettere delle regole, rispettarle per primi e farle rispettare ai nostri ragazzi. Con amore, sì. Ma anche con fermezza.

  Partiamo dall’ABC. Ormai per nulla scontato. A tavola non si rutta. Nessuno se ne va prima che il pasto sia finito e quando ci sia alza si chiede: «Posso andare?». Il cibo non si spreca e si mette nel piatto solo quello che si ha davvero intenzione di mangiare. Non si picchiano fratelli e compagni, non si dicono parolacce, non si risponde a male a nessuno, tanto meno alla nonna, allo zio o al vicino di casa. Anche se non ti stanno simpatici. Troppo? Macché: è la base. E chi non rispetta le regole si guadagna una punizione. Termine passato di moda. Basta vedere l’espressione della mamma del compagno di classe quando alla cena di compleanno riprendi un’intemperanza di tuo figlio: «Ma non è che così davanti a tutti poi ci resta male?». Forse. Ma avrà imparato qualcosa. E poi l’alternativa sarebbe fare un predicozzo una volta tornati a casa, quindi dopo ore. Non servirebbe a nulla.

  Certo, c’è il rischio di passare per mamma-nazi. Pazienza. Quel che conta è il risultato. E non superare mai il limite dell’umiliazione. «Rimproveri sì, umiliazioni mai», dice anche la psicologa Silvia Vegetti Finzi. Alla fine il maggior sollievo si ha dai propri ragazzi. Quando ti dicono, orgogliosi e forti: «Mamma, hai visto quel bambino come è viziato? Fa soltanto capricci».Per finire c’è l’ultimo tabu, quello della sculacciata. Guai a sfiorare il ragazzino, pena turbe eterne. Il consiglio d’Europa condanna la Francia per non avere un «divieto chiaro, vincolante e preciso delle pene corporali», tra cui schiaffi e sculacciate, violando così l’articolo 17 della Carta europea dei diritti sociali. Tra i Paesi da richiamare ci sarebbe anche l’Italia. Sia chiaro, picchiare un bambino non è solo sbagliato: è anche una sconfitta. Ma se scappa una sculacciata in un momento di esasperazione dobbiamo davvero fustigarci all’infinito? Forse basta chiedere scusa. E ammettere che anche mamma e papà non sono infallibili

Corriere della Sera. 14 marzo 2015, pag, 45







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