Educare i figli alla libertà


La tesi di Gherardo Colombo: sgridare non significa insegnare le regole, meglio elogi e dialogo

Il metodo di un papà pm

di Angela Frenda

 
Si può stare insieme in libertà, e non in soggezione. Il metodo da usare? Quello della Costituzione, semplicemente. O meglio, quello basato sull’articolo 18: «I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale».

   Ma attenzione. Questa soluzione è destinata alle famiglie. L’ha ideata uno che di Costituzione se ne intende: l’ex pm di Mani Pulite Gherardo Colombo, che ha scritto assieme ad Elena Passerini, ex insegnante di storia e filosofia al liceo ed esperta di temi psicoeducativi, il libro-manuale: Imparare la libertà. Il potere dei genitori come leva di democrazia (Salani). In sintesi i due, genitori a loro volta, hanno ragionato sul tema oramai caro alla
comunità delle mamme e dei papà: l’opportunità o meno delle punizioni e delle imposizioni nel sistema educativo. Insieme sono arrivati a una conclusione, che Colombo spiega bene nella prefazione del libro: «Finora il metodo di stare insieme è stato sempre l’opposto di quello disegnato dalla Costituzione, e per questo ci troviamo a disagio nell’associarci in libertà. La nostra abitudine è al sopruso e alla soggezione, la libertà reciproca spesso ci spiazza». E qui entra in gioco il «metodo della Costituzione»: «Che vuol dire che per imparare a vivere insieme ciascuno libero quanto gli altri è necessario cambiare l’educazione. Non più all’obbedienza, ma alla libertà»


  Tradotto, il sistema delle punizioni e delle regole va archiviato. Non funziona. Sgridare non significa insegnare le regole. Punire meno che mai. Dare comandi, ordini, divieti, minacce, è inutile. E contro produttivo. Come spiega il dibattito che si è aperto tempo fa negli Stati Uniti sul Wall Street Journal: «Cominciate a elogiare i vostri figli e, di conseguenza, aumenterà la frequenza dei "buoni comportamenti"» è la sintesi fatta al quotidiano americano da Timothy Verduin, docente di Psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza all’Università di New York. Non solo: gli elogi — avvertono Verduin e altri esperti — devono essere accompagnati da abbracci o manifestazioni «fisiche» di affetto, per stabilire — e rinsaldare — il legame tra genitori e prole.

  «Il castigo è un’arte, e molto difficile» ha spiegato al Corriere lo psicoterapeuta Gustavo Pietropolli Charmet: «Bisogna prima di tutto capire qual è la comunicazione implicita contenuta nella trasgressione della regola: nella violazione di un patto c’è sempre, nel bambino, una speranza di potersi affrancare, di crescere. Se capiamo questo suo desiderio e lo aiutiamo a realizzarlo non ripeterà il comportamento scorretto».

  Di qui, la soluzione proposta da Colombo & Passerini: «Le regole sono indicazioni, procedure, grammatiche, istruzioni per l’uso». Il modello del radicamento sociale verticale non funziona. Sono i genitori che devono impostare un rapporto sano tra le regole e gli individui. Ma molti dei concetti proposti nascono soprattutto dai dialoghi tra Colombo e i ragazzi durante i suoi interventi nelle scuole. Attraverso questa riflessione condivisa (e la sua esperienza di magistrato) è nata poi la convinzione che la rigidità e l’imposizione non producono cittadini educati e sani. Niente di più sbagliato, dunque, di confondere il concetto di comando con quello di regola. Ma la vera sfida è riuscire a trasmetterle ai bambini. La scorciatoia, garantisce Colombo, è muoversi proprio come quando si insegna la Costituzione: regole, ma in libertà. È un esercizio lungo, ma attraverso alcuni semplici trucchi, tipo quello di usare il gioco come luogo di apprendimento e come metafora, l’ex pm garantisce che si possono raggiungere risultati eccellenti.

  Tutto va bene, insomma, a patto di non scadere in Pierino Porcospino. Libro ancora celebre in Germania, l’autore è un medico ottocentesco che rientra nel filone dell’educazione prussiana, che è anche una teoria medica secondo cui lo scopo pedagogico era piegare o spezzare la volontà del bambino per ridurlo all’obbedienza, non solo nell’infanzia ma nella vita adulta. Il libro fu scritto per la figlia di 4 anni dell’autore, ma ebbe così successo che fu ripubblicato più volte. Anche in Italia: il bimbo malvagio, il vecchio Pierino che minaccia di cacciare il bimbo che si dondola sulla sedia, pene di morte e punizioni corporali. Più che un manuale educativo, un libro dell’orrore. Un paradosso. Ma Colombo e Passerini ci avvertono tutti: quei metodi lì non servono. Altrimenti il risultato sarà un bambino/adulto schiavo. Di sé stesso.

Corriere della Sera, 6 aprile 2013, pag, 49

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