La tesi di Gherardo Colombo:
sgridare non significa insegnare le regole, meglio elogi e dialogo
Il metodo di un papà pm
di Angela Frenda
Ma attenzione. Questa soluzione è destinata alle
famiglie. L’ha ideata uno che di Costituzione se ne intende: l’ex pm di Mani
Pulite Gherardo Colombo, che ha scritto assieme ad Elena Passerini, ex
insegnante di storia e filosofia al liceo ed esperta di temi psicoeducativi, il
libro-manuale: Imparare la libertà. Il potere dei genitori come leva di
democrazia (Salani). In sintesi i due, genitori a loro volta, hanno ragionato
sul tema oramai caro alla
comunità delle mamme e dei papà: l’opportunità o meno
delle punizioni e delle imposizioni nel sistema educativo. Insieme sono
arrivati a una conclusione, che Colombo spiega bene nella prefazione del libro:
«Finora il metodo di stare insieme è stato sempre l’opposto di quello disegnato
dalla Costituzione, e per questo ci troviamo a disagio nell’associarci in
libertà. La nostra abitudine è al sopruso e alla soggezione, la libertà
reciproca spesso ci spiazza». E qui entra in gioco il «metodo della
Costituzione»: «Che vuol dire che per imparare a vivere insieme ciascuno libero
quanto gli altri è necessario cambiare l’educazione. Non più all’obbedienza, ma
alla libertà»
Tradotto, il sistema delle punizioni e delle
regole va archiviato. Non funziona. Sgridare non significa insegnare le regole.
Punire meno che mai. Dare comandi, ordini, divieti, minacce, è inutile. E
contro produttivo. Come spiega il dibattito che si è aperto tempo fa negli
Stati Uniti sul Wall Street Journal: «Cominciate a elogiare i vostri figli e,
di conseguenza, aumenterà la frequenza dei "buoni comportamenti"» è
la sintesi fatta al quotidiano americano da Timothy Verduin, docente di
Psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza all’Università di New York. Non
solo: gli elogi — avvertono Verduin e altri esperti — devono essere
accompagnati da abbracci o manifestazioni «fisiche» di affetto, per stabilire —
e rinsaldare — il legame tra genitori e prole.
«Il castigo è un’arte, e molto difficile» ha
spiegato al Corriere lo psicoterapeuta Gustavo Pietropolli Charmet: «Bisogna
prima di tutto capire qual è la comunicazione implicita contenuta nella trasgressione
della regola: nella violazione di un patto c’è sempre, nel bambino, una
speranza di potersi affrancare, di crescere. Se capiamo questo suo desiderio e
lo aiutiamo a realizzarlo non ripeterà il comportamento scorretto».
Di qui, la soluzione proposta da Colombo
& Passerini: «Le regole sono indicazioni, procedure, grammatiche,
istruzioni per l’uso». Il modello del radicamento sociale verticale non
funziona. Sono i genitori che devono impostare un rapporto sano tra le regole e
gli individui. Ma molti dei concetti proposti nascono soprattutto dai dialoghi
tra Colombo e i ragazzi durante i
suoi interventi nelle scuole. Attraverso questa riflessione condivisa (e la sua
esperienza di magistrato) è nata poi la convinzione che la rigidità e
l’imposizione non producono cittadini educati e sani. Niente di più sbagliato,
dunque, di confondere il concetto di comando con quello di regola. Ma la vera
sfida è riuscire a trasmetterle ai bambini. La scorciatoia, garantisce Colombo,
è muoversi proprio come quando si insegna la Costituzione: regole, ma in
libertà. È un esercizio lungo, ma attraverso alcuni semplici trucchi, tipo
quello di usare il gioco come luogo di apprendimento e come metafora, l’ex pm
garantisce che si possono raggiungere risultati eccellenti.
Tutto va bene, insomma, a patto di non
scadere in Pierino Porcospino. Libro ancora celebre in Germania, l’autore è un
medico ottocentesco che rientra nel filone dell’educazione prussiana, che è
anche una teoria medica secondo cui lo scopo pedagogico era piegare o spezzare
la volontà del bambino per ridurlo all’obbedienza, non solo nell’infanzia ma
nella vita adulta. Il libro fu scritto per la figlia di 4 anni dell’autore, ma
ebbe così successo che fu ripubblicato più volte. Anche in Italia: il bimbo
malvagio, il vecchio Pierino che minaccia di cacciare il bimbo che si dondola
sulla sedia, pene di morte e punizioni corporali. Più che un manuale educativo,
un libro dell’orrore. Un paradosso. Ma Colombo e Passerini ci avvertono tutti:
quei metodi lì non servono. Altrimenti il risultato sarà un bambino/adulto
schiavo. Di sé stesso.
Corriere della Sera, 6
aprile 2013, pag, 49
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