Il controllo delle nascite:
una storia dolorosa sulla pelle delle donne
Luca Landò
Code di lucertole, mercurio e sterco di
coccodrillo. Se pensate Harry Potter Siete fuori strada: quelli che avete
appena letto sono alcuni dei metodi usati dalle donne dell’antichità per non
aver figli. Poco efficaci, come è facile intuire, ma ampiamente diffusi. Perché
nel grande libro dell’umanità il controllo delle nascite occupa un capitolo
molto ampio anche se poco conosciuto. Ce lo ha ricordato e spiegato Carlo
Flamigni, ginecologo di fama internazionale e presidente onorario dell’Aied,
nel suo bellissimo Storia della contraccezione uscito per Dalai Editore.
Come dice Flamigni, il controllo della
fertilità, molto prima d’essere un problema tecnico, è una questione culturale.
E come tutte le questioni culturali di amplissima portata anche questa è stata,
ed è tuttora, accompagnata da grandi errori e robusti pregiudizi. Si è sempre
pensato ad esempio che le donne dei tempi più antichi cercassero di avere il
maggior numero di figli, spiegando che siccome la mortalità infantile era
altissima, lo stimolo a procreare fosse molto intenso. È probabile che
accadesse esattamente l’opposto e che in condizioni di scarsità di cibo
l’arrivo di nuove bocche da sfamare venisse accolto come un problema più che
una opportunità. Questo spiega come in mancanza di tecniche anticoncezionali
efficaci, molto spesso le popolazioni primitive ricorressero all’abbandono o
all’uccisione dei neonati. In molte società il destino dei figli era deciso,
non dalla famiglia, ma dal capo del gruppo sociale o dai componenti più anziani
che in base alla situazione del momento - spostamenti, cibo, spazio a
disposizione - valutavano se la comunità poteva permettersi di mantenere i
nuovi arrivati.
Fino a un paio di secoli fa, ricorda
Flamigni, il parto rappresentava un momento cruciale, spesso pericoloso nella
vita di una donna: «In un’epoca in cui le partorienti di bassa statura e quelle
portatrici di bacini viziati morivano insieme al neonato, l’inizio di una
gravidanza era vissuto da molte giovani come un annuncio di morte. D’altro
canto è bene ricordare che fino alla metà del XIX secolo, nella clinica
ostetrica della civilissima Vienna almeno un donna su dieci moriva di parto
insieme al figlio».
Comparata alle altre, la nostra è sempre
stata una specie poco fertile, ma il numero medio di figli per donna è
diminuito con il passare dei secoli. Osservando gli scheletri femminili i
paleo-patologi hanno stabilito che nel
corso dei millenni il numero dei figli
per madre è calato progressivamente: nel 2000 avanti Cristo le donne avevano in
media cinque figli, mentre nella Roma imperiale il numero era sceso a 3,3.
Sembra dunque che da almeno quattromila anni, forse prima, sia esistita qualche
forma di controllo sulla crescita della popolazione. «È tuttavia probabile che
questo controllo venisse affidato più all’infanticidio e all’aborto che alla
contraccezione», spiega Flamigni. «Per migliaia di anni il concepimento è stato
considerato un mistero insolubile, accompagnato, anzi rafforzato, da una ridda
di ipotesi, miti e leggende che in alcuni casi resistono ancora oggi. Gli
aborigeni australiani, che hanno mantenuto per secoli le stesse tradizioni
culturali, sostengono tuttora che nel corpo delle donne abiti un piccolo
bambino trasparente entrato in qualche modo durante il periodo dei giochi infantili:
questo bambino, che di notte esce e va in giro, a volte viene trattenuto nel
corpo della donna ed è a quel punto che, secondo gli aborigeni, inizia la
gravidanza.
È chiaro che senza una chiara conoscenza dei
meccanismi biologici i metodi per prevenire la fecondazione siano a lungo stati
una miscela di superstizioni, magie ed empirico buon senso. In molte zone del
Nord Africa esiste ancora oggi l’idea che i cadaveri abbiano un potere
sterilizzante e che bere l’acqua utilizzata per lavare un corpo privo di vita
renda una donna sterile. Ma i consigli anticoncezionali sono numerosissimi:
mangiare un pezzo di favo contenente api morte o del pane con peli di mula
bruciati e tritati; preparare misture contenenti bava di cammello o mangiare i
baccelli della fave, uno per ogni anno di sterilità desiderata.
Nell’Africa centrale molte donne si
imbottiscono la vagina con sassi o erba finemente triturata, con risultati
spesso disastrosi, perché ostruendo l’uretra e ostacolando il retto si arriva
spesso a provocare ritenzione di urina e feci. Nell’Ecuador le donne usavano
una lavanda con una soluzione di succo di limone mescolato a un decotto di
gusci di noce di mogano, un anticoncezionale usato successivamente dalle
schiave nere della Guyana e della Martinica.
In Egitto il primo papiro
che parla di anti concezione risale al 1850 avanti Cristo e spiega nel
dettaglio tre metodi: inserire in vagina una sostanza flessibile simile alla
gomma in modo da ricoprire il collo dell’utero; utilizzare una miscela di miele
e carbonato di sodio; polverizzare sterco secco di coccodrillo su una specie di
pasta da inserire in fondo al canale vaginale. Le tre tecniche non erano prive
di senso: miele, sostanze gommose e paste a base avevano tutte l’effetto di
ridurre la motilità dello sperma. Lo sterco di animale aveva poi lo scopo di
modificare l’acidità dell’ambiente vaginale, un po’ come viene fatto oggi con
l’uso di spugne imbevute: è noto che il movimento degli spermatozoi viene
arrestato in presenza di un ambiente acido e con pH inferiore a 6. Trecento
anni più tardi, un secondo papiro (Papiro di Ebers del 1550 avanti Cristo)
suggerisce di introdurre in vagina un tampone di garza imbevuto di miele e succo
di acacia. La ricetta non sorprende: le foglie di acacia fermentando producono
acido lattico considerato anche oggi un buon spermicida.
Nell’antica Cina la contraccezione veniva
spesso mischiata con le pratiche abortive, come la ricetta che consigliava di
assumere, a stomaco vuoto, mercurio cotto nell’olio. Nel Libro delle erbe, scritto
4000 anni fa, si consiglia di mangiare sedici code di lucertole cotte nel
mercurio. Sempre in Cina, c’erano pratiche ispirate più all’autocontrollo che
all’assunzione di sostanze. Le donne, ad esempio, venivano istruite a eseguire
profondi respiri nel momento in cui il compagno raggiungeva l’orgasmo,
contraendo nel frattempo i muscoli dell’addome e «pensando ad altro». Gli
uomini dal canto loro potevano contare sul «coitus obstructus». La tecnica
venne descritta nei dettagli nel VII secolo aC dal medico cinese Tung-hsuan.
Secondo i medici cinesi, l’energia del seme maschile doveva essere trattenuta
per consentire successivamente il concepimento di figli maschi.
Un capitolo importante, a volte devastante,
nella storia della contraccezione è legato alle erbe. Come la carota della
morte (Daucuscarota) dai noti effetti aborti geni ma usata a Roma nel primo
secolo avanti Cristo come anticoncezionale, a dimostrazione di quanto
anticoncezionali e aborti geni venissero spesso confusi tra loro. Gran parte della
storia della contraccezione è stata scritta dagli erboristi e l’elenco delle
erbe usate (spesso con effetti aborti geni) è lungo: melograna, artemisia,
mentuccia, ruta, aloe, ginepro, mirra, cetriolo fino al tristemente noto
prezzemolo.
Ci sono alcune cose che è bene sapere quando
si va incontro alla contraccezione, dice Flamigni. La prima è che non esiste il
metodo contraccettivo ideale, ma la scelta è sempre il risultato di una
valutazione tra i costi e benefici. Il secondo è che non esiste un metodo
valido per tutta la vita, al punto che sarebbe meglio parlare di un percorso
contraccettivo fatto di scelte diverse legate a momenti diversi. La terza, che
in un’epoca di scienza e ricerca le tecniche per il controllo delle nascite
sono spesso avvolte da una fitta nebbia di pregiudizi e cattiva informazione.
«Non c’è una sola ragione per affermare che la pillola del giorno dopo inibisca
l’impianto dell’embrione - dice Flamigni - eppure questa spiegazione priva di
ogni base scientifica viene ripetuta con grande facilità su giornali, tv e una
parte del mondo politico».
Se in passato il controllo delle nascite era
dettato dalle condizioni di vita, anzi di miseria, delle famiglie, oggi la
scelta di avere o meno un figlio è un argomento delicato su cui forte è la
pressione di convinzioni religiose e culturali. Non di rado i metodi per
impedire la procreazione sono diventati il pretesto per uno scontro fra opposte
posizioni etiche e giuridiche che divide tuttora la società. Peccato che in
questa battaglia tra guelfi e ghibellini della bioetica la voce e i diritti
delle donne giungano quasi sempre per ultimi. E qui arriva il quarto messaggio
lanciato dal presidente dell’Aied: siamo davvero convinti, su questi temi, di
aver abbandonato ignoranza e superstizione? Perché è vero che i roghi delle
streghe sono stati aboliti, dice Flamigni, ma quando si parla di contraccezione
c’è un’ombra medioevale che si allunga con sorprendente rapidità.
E fatica a scomparire.
Nel libro di Carlo Flamigni presidente
onorario dell’Aied il percorso travagliato dei metodi per impedire il
concepimento. Uno scontro tra posizioni etiche che ha sacrificato senza problemi
generazioni di madri
L’Unità 19 gennaio 2013,
pag, 19
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