Va scongiurata la crescita
della mortalità neonatale
di Francesco Ognibene
Risparmiare sì, ma non a spese dei più
fragili. Tra i capitoli del bilancio pubblico, la spesa sanitaria è chiamata ai
tagli più significativi. Ma non sarebbe certo accettabile che ne uscisse
compromessa la cura per i pazienti nelle condizioni di maggiore debolezza. A
cominciare da quelli che sono vulnerabili per definizione, ovvero i neonati con
problemi dovuti a patologie o a nascita prematura. L’allarme lanciato il 10
agosto su Avvenire da Paola Binetti (Udc), raccolto dal ministro della Salute
Renato Balduzzi quattro giorni dopo sempre su queste pagine, richiama
l’attenzione sulla necessità di accrescere gli standard medi (già elevati) dei
nostri ospedali, restando alla larga da qualunque tentazione di “abbandono
terapeutico”.
Tra i più convinti che la terapia intensiva
neonatale non possa restare vittima di sforbiciate dagli effetti facilmente
prevedibili in termini di bambini non più salvati c’è il professor Mario De
Curtis, ordinario di Pediatria all’Università La Sapienza di Roma e
responsabile del reparto di Neonatologia e Terapia intensiva neonatale del
Policlinico Umberto I.
Professore, periodicamente accade di dover
registrare casi drammatici di morte subito dopo la nascita. Com’è possibile
contenere errori e incidenti?
L’assistenza neonatale nel nostro Paese
potrebbe decisamente migliorare con una maggiore attenzione e organizzazione
sanitaria. È un tema che certamente tocca il ruolo delle istituzioni, ma la
sensibilità e il coinvolgimento di tutta la società civile rappresenterebbero
un fondamentale stimolo per sollecitare interventi e soluzioni in difesa dei neonati,
cioè dei soggetti più indifesi della società.
Eppure il nostro Paese vanta dati generali
positivi.
Non si possono certo negare alcuni
significativi risultati degli ultimi tempi. Ogni anno nascono circa 550 mila
bambini, e grazie al miglioramento delle condizioni di vita e delle conoscenze
meR di che si è verificata una progressiva diminuzione della mortalità
infantile nel primo anno di vita, che nell’ultimo decennio è passata da 8 a
meno di 4 per mille nati vivi. I tre quarti del tasso di mortalità infantile
sono da attribuire ai morti nel periodo neonatale, una parte rilevante di
questi si verifica nella prima settimana. In Italia esistono oggi unità di
Terapia intensiva neonatale (Tin) che nel campo assistenziale e della ricerca
sono paragonabili a quelli dei migliori centri internazionali. All’Umberto I di
Roma sopravvivono anche neonati piccolissimi, di soli 500 grammi o affetti da
gravi patologie.
Su cosa si deve agire per ridurre ancora la
mortalità?
Bisogna intervenire sulla cura ai neonati
prematuri che alla nascita hanno un’età gestazionale inferiore a 37 settimane,
il 7-8% di tutti i nati, pari a 40mila ogni anno. A particolare rischio di
morte e di malattia sono soprattutto quelli con peso alla nascita inferiore a
1.500 grammi o con un’età gestazionale sotto le 32 settimane. Questi neonati -
circa 5.500 ogni anno - pur essendo l’1% di tutti i nati contribuiscono a più
della metà della mortalità neonatale globale e a una parte significativa delle
patologie dell’infanzia. Per loro è necessaria un’assistenza specialistica nei
centri con personale particolarmente qualificato e apparecchiature
tecnologicamente avanzate. Purtroppo in molte regioni i posti di Tin sono
inferiori al fabbisogno riconosciuto (un posto letto ogni 750 nati). Di conseguenza
spesso neonati prematuri, anche piccolissimi, non possono essere curati nel
centro dove nascono, ma debbono essere trasferiti in un altro ospedale con un
sicuro aumento del rischio di morte e di disabilità. Per esempio, nel Lazio
mancano 20 posti di Tin e la mortalità neonatale è superiore alla media
nazionale. Se il Lazio avesse la stessa mortalità della Lombardia si
salverebbero ogni anno 40-50 neonati.
In tempi di economie, peraltro
indispensabili, che situazione si profila nell’assistenza ai neonati più a
rischio? I piani di rientro del deficit sanitario delle Regioni stanno
aggravando la situazione assistenziale, soprattutto al Centro-Sud. Il blocco
del reclutamento di nuovo personale non permette neppure la sostituzione di chi
va in pensione e addirittura in maternità, e sta mettendo in ginocchio la quasi
totalità dei reparti di terapia intensiva neonatale.
La recente vicenda del neonato prematuro
morto al San Giovanni di Roma ha riproposto il problema degli errori
nell’assistenza medica... Il rischio aumenta moltissimo quando il personale
medico è ridotto in relazione al numero di pazienti ricoverati, una situazione
che si osserva nella gran parte dei reparti dove non raramente le infermiere
debbono raddoppiare i turni lavorando ininterrottamente per 14-17 ore. Sono
situazioni che determinano inevitabilmente un aumento degli errori con
conseguenti gravi complicanze.
Tagli
e assistenza, entrambi necessari: come se ne esce?
È auspicabile che, nonostante il difficile
momento economico, vengano mantenuti se non potenziati gli interventi per
l’infanzia e le famiglie più povere. Una particolare attenzione dovrà essere
data alla salute delle donne in gravidanza, ai bambini nei primi mesi di vita,
e soprattutto ai figli di donne immigrate. Questi bambini sono spesso esposti,
per le particolari condizioni familiari ed economiche, a un rischio maggiore di
malattia sia in epoca prenatale che subito dopo la nascita. Un sicuro
miglioramento dell’assistenza ospedaliera neonatale si potrebbe avere accorpando
i reparti di ostetricia e di neonatologia con un ridotto numero di nati perché
tali strutture spesso non sono in grado di affrontare situazioni di emergenza e
di offrire un’assistenza specialistica.
Professore, lei cosa cosa
chiede?
Che tutta la società si renda partecipe di una
questione così complessa. E in prima fila dovrebbe essere il mondo cattolico,
che si è sempre distinto nella salvaguardia dei valori fondamentali dell’uomo.
Lo scorso 10 agosto l’onorevole Paola
Binetti, esponente dell’Udc, scrisse al nostro giornale denunciando un problema
cogente: «A Roma, a Villa Pia – scriveva – un neonato è morto perché la clinica
mancava di terapia intensiva neonatale; al San Giovanni un altro neonato è
morto perché sono stati invertiti alcuni tubicini, e si è scoperto che il
reparto era affidato a una eccellente ginecologa, ma non a un medico esperto di
Terapia intensiva neonatale; e per ultima una bambina è morta al
Fatebenetratelli mentre stava per nascere». Il timore espresso dall’onorevole
era che nelle operazioni di taglio imposte alla Sanità, «torni a crescere
l’indice di mortalità neonatale. In questi mesi – proseguiva – ho rivolto varie
interrogazioni al ministro della Salute e quando è stato possibile ho
presentato anche ordini del giorno per chiedere una particolare attenzione alla
Terapia intensiva neonatale, come tutela e garanzia della vita dei bambini
appena nati. Proposte che hanno sempre trovato piena accoglienza teorica, ma
nulla si è mosso».
La risposta del ministro è arrivata a stretto
giro di posta: «Vorrei ribadire – scriveva il 14 agosto – che la sicurezza nei
punti nascita e nei reparti di terapia intensiva neonatale è da sempre
all’attenzione del ministero della Salute». Renato Balduzzi sottolineava, però,
«che la revisione della spesa non può costituire un alibi alla
disorganizzazione cronica che riscontriamo in alcune Regioni. I nostri dati ci
dicono già che chi spende meno offre in sanità migliori servizi, proprio perché
spende “meglio”. I drammi che accadono, quelli che poi i giornali traducono con
la parola “malasanità”, sono prevalentemente il frutto di una filiera di
disorganizzazione, a sua volta spesso causata da incompetenza e scarso
esercizio di responsabilità». Nel dibattito è intervenuto anche il direttore di
Avvenire: «Ottimizzare le risorse disponibili è il solo modo sensato per
procedere, in qualunque settore, in modo economicamente e moralmente
sostenibile» evidenziava Marco Tarquinio. Proseguendo: «Mi limito a ricordare a
noi tutti quanto sia importante che un sistema sanitario saggiamente dimagrito
(cioè liberato dal “grasso” degli sprechi) resti bello tonico».
Il
primario dell’Umberto I: «I rischi aumentano riducendo il personale e imponendo
doppi turni. Situazioni che determinano più errori»
il
fatto
Ben venga la razionalizzazione della sanità
ma non a spese dei più fragili. I reparti di neonatologia devono fare i conti
con i piani di rientro del deficit sanitario, le eccellenze esistono e si
destreggiano tra mille difficoltà.
I DATI
IN
DIECI ANNI DIMEZZATO IL TASSO DI DECESSI INFANTILI
In Italia, nel corso degli ultimi dieci anni,
la mortalità infantile nel primo anno di vita è passata da 8 a meno di 4 per
mille nati vivi (3,38). I tre quarti del tasso di mortalità infantile sono da
attribuire alle morti nel periodo neonatale e una parte rilevante di queste si
verifica nella prima settimana di vita. I dati collocano il nostro Paese tra
quelli in cui sopravvivono più bambini. Meglio di noi in Europa fanno solo
Francia, Islanda e Svezia.
Avvenire, 29 agosto 2012,
pag, 3
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