Nel 2006 Monica Gritti è
colpita da emorragia cerebrale: tre mesi dopo nasce il suo bambino
All’origine una sindrome
rara: il Moyamoya. I suoi fratelli hanno fondato l’associazione nazionale
di Marta Todeschini
Eccolo lì nella sua tutina bianca e gialla a
dire il suo ciao al mondo. Non aveva ancora due mesi, Jacopo, e già con quel
suo faccino furbo «bucava» la pagina del nostro giornale, raccontando in una
lettera la sua meravigliosa piccola grande storia.
Era l’inizio di febbraio di cinque anni fa.
Oggi di anni lui ne ha quasi sei: rieccolo qui sotto protetto tra le braccia di
papà Arturo, con la mamma Monica che non lo perde d’occhio. Fra dieci giorni
Jacopo comincerà la prima elementare e chissà che cosa dirà di sé. Gli
basterebbe mostrare la pagina de L’Eco del 2007, un condensato di speranza. Ma
per andare avanti nella sua storia avrebbe bisogno di un aiuto in più. Come lo
splendido libro della zia Giusi, dove c’è un capitolo dedicato a lui, nato per
miracolo.
Sono pagine dense di emozione che partono dal
27 agosto 2006. Era domenica. Monica, che oggi ha 42 anni, era nella sua casa
di Albano, incinta del suo bambino. Un dolore fitto alla testa, il marito
Arturo che capisce di non perdere tempo, la corsa in ospedale. Emorragia
cerebrale, grave. «Furono momenti interminabili, quando il medico ci chiamò e
ci disse che Monica era entrata in coma, e loro erano pronti per l’intervento»
si legge nel libro «Un giorno come gli altri» che sarà presentato domani a
Villa di Serio, paese d’origine dei Rossi.
La operano «quegli angeli degli Ospedali
Riuniti» sedandola con un mix di farmaci che non mettono a rischio il
piccolo.
Lui intanto cresce dentro la sua mamma e il 6 dicembre, alla 32ª settimana di
gestazione, nasce Jacopo, di un chilo e 800 grammi.
Due mesi dopo lui «scriveva» a L’Eco: «Oggi
supero i 3 chili e mezzo, la mia mamma è ancora in ospedale ma sta meglio». E,
dopo i sorrisi a ostetriche e medici, fisioterapiste e amici, chiudeva la «sua»
lettera: «E grazie infinite alla mia zia Giusi che si sta prendendo cura di me
intanto che la mamma guarisce».
La mamma aveva cominciato a guarire il giorno
che Alfredo le stava elencando i nomi possibili da dare al bimbo. «Jacopo»
disse lui. Monica piegò il dito per un sì. Si era svegliata dal coma.
Un
gesto per gli altri
Ma la storia non è finita:
dopo la nascita di Jacopo l’angiorisonanza diede un nome a ciò che aveva
colpito Monica, oggi «cognitivamente perfetta, ma rimasta paralizzata nella
parte sinistra del corpo» spiega Giusi: sindrome di Moyamoya, una «vascolopatia
cerebrale caratterizzata dal restringimento o occlusione della parte finale
della carotide interna e da una rette fitta di vasi neoformati alla base del
cervello». Apparivano come una nuvola di fumo: in giapponese si dice moyamoya.
Oggi in Italia c’è un’associazione a cui chi è colpito da questa patologia rara
si può riferire: l’ha fondata nel febbraio del 2011 Giusi Rossi, la zia
scrittrice. La zia che per due anni ha cresciuto e coccolato il suo Jacopo «intanto
che la mamma guariva»
Fu
curata con un mix di farmaci che non mettessero a rischio il piccolo
L’Eco Di Bergamo, 1
settembre 2012, pag, 37
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