di Eugenia Tognotti
Non che non fossero ampiamente noti i dati
che emergono dai risultati dell’indagine per il controllo campionario mirato
alle dimissioni per primo parto cesareo con diagnosi di “Posizione e presentazione
anomala del feto”. E tuttavia i numeri del parto cesareo in Italia sono tali da
sollecitare
una riflessione su ciò che sta avvenendo intorno alla “scena del
parto”. La percentuale di ricorso al cesareo (nel 2010) arriva a sfiorare il
30%, superiore alla media dei Paesi Ocse, con significativi scarti tra Nord
eSud:22-23% in Piemonte e Lombardia, 49 in Campania, 41 in Sicilia, 35 circa in
Puglia. Percentuali che si avvicinano a quelle di Paesi – come il Messico, tra
gli altri – che detengono il poco invidiabile record dei parti cesarei. Qui da
noi 30 bambini su 100, in media, nascono col taglio cesareo, mentre la
stragrande maggioranza delle donne partorisce in ospedale, seguendo un processo
che, in appena mezzo secolo, ha portato alla totale medicalizzazione della
gravidanza e del parto.
Il parto a domicilio non sembra lontano una
manciata di decenni ma anni luce. A metà del secolo scorso ,il parto era «un
affare di donne». Ad assistere le partorienti erano le ostetriche condotte –
provviste di un sapere codificato - cui spettava il compito di completare
l’opera della natura: aiutare la donna durante il travaglio, aspettare il
secondamento, controllare la placenta, pinzare il cordone ombelicale del
neonato. Poche le complicazioni che esigevano lo spostamento all’ospedale
cittadino o la chiamata del medico, che interveniva solo in caso di difficoltà.
Altri tempi, altre scene del parto. E’
difficile non riconoscere i vantaggi delle certezze assicurate dall’assistenza
in ambito ospedaliero e tuttavia, non si
può negare che il prezzo da pagare per un’assistenza di qualità ha comportato
la perdita dell’intimità, della spontaneità, della naturalità della
straordinaria esperienza della nascita. Mentre, negli ultimi decenni, una
combinazione di nuovi fattori ha contribuito a determinare la tendenza
all’aumento dei tagli cesarei che raggiunge proporzioni epidemiche e proprio
nelle regioni in cui i casi di malasanità sono all’ordine del giorno. Sullo
sfondo del più che massiccio ricorso a quell’intervento, le opinioni dei
professionisti sulla sicurezza del taglio cesareo, i condizionamenti
medico-legali degli operatori del percorso nascita, l’assenza di un effettivo
coinvolgimento delle donne nella scelta del modo di partorire. Troppo spesso
ricevono un’informazione incompleta ed esprimono le loro «preferenze» mentre
sono in preda alla paura, allo stress e al dolore.
LA STAMPA, 19 gennaio 2013,
pag, 28
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