l significativo numero di obiettori, in ambito
sanitario ed esercente le attività ausiliari, è stato assunto da alcuni come
giustificazione per voler modificare, o comunque rideclinare, il ricorso
all’obiezione di coscienza. Tale progetto si manifesta con affermazioni del
tutto singolari, quali ad esempio: «Nel dibattito sull’obiezione di coscienza
non viene quasi mai messo in discussione il principio che gli operatori
sanitari possano rivendicare un diritto all’obiezione di coscienza», oppure «il
buon medico non obietta». La questione non è formale, ma sostanziale.
Tralasciando le riflessioni critiche, che potrebbero essere molteplici, va
prima di tutto ricordato che l’obiezione di coscienza ha fondamento
costituzionale in quanto espressione della tutela che l’ordinamento
costituzionale stesso riconosce alla libertà individuale. Il tentativo di
modificare il ricorso all’obiezione di coscienza, rimodulando applicazioni o ridefinendo
le procedure di assunzione del personale sanitario, rappresenta un’operazione
assai pericolosa e uno snodo fondamentale nel rapporto tra cittadino e Stato. È
evidente che anche questo tema è motivo di conflittuali contrapposizioni. A
partire dall’abusato ricorso alla radicalizzazione di posizioni, come ad esempio
"cattolici contro laici" e viceversa. Con i primi che sarebbero qualificabili
per una posizione identitaria confessionale e i secondi per un approccio
razionale. Un’antitesi, questa, manichea e inappropriata già alla luce di
un’analisi appena accorta e argomentata. Per questa via sbagliata si vorrebbe ricondurre
a una contrapposizione tra cattolici e laici anche il tema dell’obiezione di
coscienza.
Eppure, risulta evidente, se non si è prigionieri di preconcetti e
di pregiudizi ideologizzati, che il dibattito sull’obiezione di coscienza così impostato
non regge. Obiettare non è forma di "dissenso" che possa essere aggettivata
o rappresentare patrimonio di una parte sola. L’obiezione di coscienza è
inscritta nella natura di ogni uomo. L’obiezione di coscienza (dal latino
ob-jactare), regolamentata da leggi dello Stato, non rappresenta un
atteggiamento antigiuridico di disobbedienza. Concretizza il rifiuto di compiere
atti prescritti dall’ordinamento (legge positiva) ma contrari alle proprie
convinzioni, ovvero un rifiuto per motivi interiori. Lunga, emblematica ed
eroica la storia dell’obiezione di coscienza che ha avuto la sua più conosciuta
espressione letteraria in Antigone che si rifiuta di obbedire a Creonte, in nome
delle leggi non scritte (agrapha dogmata) della pietà e della giustizia. Per
Jacques Maritain, con Antigone si incarna l’idea del diritto naturale, ossia la
coscienza che vi è «un ordine o una disposizione che la ragione umana può scoprire
e secondo la quale la volontà umana deve agire». L’obiezione di coscienza non
si limita né si esaurisce nella semplice negazione di ossequio a una legge. Non
può essere considerata semplicemente come atto negativo o mero rifiuto.
Rappresenta una testimonianza (pro-testa) a favore di una verità più grande e
maggiormente vincolante rispetto a quanto una legge positiva possa definire. È
il riconoscimento di valori non riducibili ed esige la salvaguardia da penalizzazioni.
È un argine all’indifferentismo morale. Riformulare o emendare l’obiezione di
coscienza, anche per via procedurale, significherebbe svuotarla progressivamente
nel tempo (slippery slope) fino alla inconcludenza, rubricandola come moralista
o irragionevole, e per tale motivo da limitare e conculcare. Difendere l’obiezione
di coscienza è una risposta dovuta alla deriva culturale ed etica che vorrebbe
rendere l’aborto moralmente indifferente, «come se la liberalizzazione
giuridica si risolvesse di per sé nella liberalizzazione morale», ricordava a
tutti Norberto Bobbio.
Gli Editoriali di Avvenire, 27
Giugno 2012, pag, 10
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