di Valentina Fizzotti
Nel nord della città indiana di Dehli c’è un appartamento
lurido, con le pareti scrostate e piene di foto di neonati, dove si producono
bambini conto terzi. Al suo interno ci sono donne scalze e analfabete che una
società specializzata, la Wyzax Surrogacy
Consultancy, paga fino a 5mila euro per fare da incubatrici umane. In
quella casa è entrato un giornalista del quotidiano britannico Daily Mail,
David Jones, che ha raccontato il suo viaggio nella «fabbrica dei bambini su misura»,
ultimo segmento della catena di montaggio in cui si usano «ovuli di belle
esteuropee e seme di ricchi occidentali, mescolati in un laboratorio americano,
ed embrioni impiantati in donne disperate in un sobborgo indiano»
La maternità surrogata va fortissimo: se ne
è parlato anche questa settimana perché il figlio del candidato repubblicano
alla Casa Bianca, Mitt Romney, l’ha scelta per avere i suoi figli. In India,
meta prediletta, è così di moda che fra le signore locali sta fiorendo il
mercato delle pance di gommapiuma, quelle che usava Bree Van De Kamp nella serie
tv «Desperate Housewives» per intestarsi la gravidanza della figlia: sono
vendute in set, per simulare i vari stadi della gravidanza, a 18 dollari (con realismo,
pare: una donna avrebbe raccontato al produttore di sentirsi davvero incinta
con la pancia finta addosso). La Wyzax, che sta stringendo accordi con la
clinica Bourn Hall di Cambridge (quella in cui nel ’78 è stata creata la prima bambina
in provetta, Louise Brown), si presenta come il primo «negozio tutto compreso
per la gravidanza esternalizzata». L’equivalente della produzione lowcost di
auto all’estero. Con un modello che supera quello fordista, l’azienda
«ottimizza» costi e risorse offrendo un servizio completo ai clienti che
desiderano un figlio con corredo genetico simile al proprio al prezzo più basso
possibile. Per guadagnarsi la propria paga, racconta David Jones, le donne
devono soltanto stare sdraiate a guardare la tv, mangiare cibi nutrienti e
lasciarsi bombardare di ormoni.
A farsi
fabbricare i figli sorgono diversi problemi, prima di tutto quelli legali su nazionalità
e riconoscimento dei minori (anche se la società promette di risolvere tutto
via callcenter). E anche il processo produttivo può avere inconvenienti, come
l’aborto selettivo dei feti considerati «in eccedenza» (ottenuti quando in una
donna si impiantano molti embrioni contemporaneamente, per risparmiare),
chiamato «riduzione» in gergo aziendale. Alle volte capita anche che alla dogana
i pacchetti vengano aperti, così gli embrioni inscatolati non hanno altra
destinazione che la spazzatura. I maggiori acquirenti sono gay, ma a Jones è
stato intimato di non spifferarlo alle donne: questa informazione potrebbe
sconvolgerle. Nessuno choc invece, assicurano, al momento del distacco dal
bimbo: «Non sono affezionate, sono mentalmente preparate e saranno pagate, ecco
tutto». La venticinquenne Pahki cerca di non pensare a chi siano i genitori:
«Se lo vedo penso che sarò triste, ma se non lo vedo forse non lo sarò»
Avvenire, 17 maggio 2012,
pag, 2
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