di Stella Prudente
Iniziamo dalla fine. 7 marzo 2010. Viola ha
due mesi: era nata un portento di quasi quattro chili e ormai ne pesa poco più
di 2,5. È l’una del mattino e io sono ricurva che piango sul tavolo da cucina,
in mano un tiralatte Medela alimentato a pile. Aspira e rilascia, risucchia
e niente. Quasi niente. Per quindici millimetri di latte, ci vuole mezz’ora. Di
più non ne arriva. Ora basta, Corrado si incazza. «Lo vedi questo? - grida mio
marito - Si chiama biberon e questo è latte in polvere, lo scaldo e tu la
finisci con questa follia autodistruttiva, che per giunta sta affamando nostra
figlia!». Io invece con gli impulsi autodistruttivi non la smetto, anzi. Per
quattro lunghi mesi continuerò a tirarmi il latte per un regime misto
decisamente sproporzionato a favore delle multinazionali (e delle malattie
infettive): quattro parti sintetico e una sola sudata parte materno.
Quel senso
di fallimento misto all’invidia lo sento ancora nelle parole di quelle neomamme
che fin dalle prime notti in ospedale riescono a sfamare i loro cuccioli e
riempire i biberon altrui. Una questione di fortuna, forse di chimica, tutto
qui. Perché non è vero, come sostiene qualunque suffragetta della Leche League
che «il latte viene a chiunque, è solo una questione di disposizione mentale e
buone abitudini». Ve lo dice una talebana della maternità, che ha imposto a se
stessa - e al coniuge – un parto naturale di quasi dodici ore, dopo mesi di
corso
con gli esercizi di respirazione zen e tanto di nutrizionista che ti fa
mangiare le mandorle. «Troppo stress», obietterà ora la consulente della Leche
League. Invece no. Nessuno stress,parto regolare, alimentazione perfetta e una
figlia che si è sempre attaccata quel tanto che - alle altre mamme - basta. A
me il latte non è venuto. Punto. Ricordo come fosse ieri la visita a domicilio
dell’ostetrica di una nota associazione fondamentalista della capitale. «Guardi
– mi suggerisce - lei sbaglia sicuramente la posizione». «Non si fa così?»
rispondo io, col cuscino a maxi-salamella già sistemato. «Sì, proprio così -
ammette lei - allora dovrebbe provare a tenere la bambina sempre attaccata,
anche di notte, se la mette nel lettone distesa fra lei e il papà». «E mio marito?».
«Se vi ama capirà» osserva lei. Lui non ha capito, però ho capito io.
Mia
figlia in un mese invece di crescere aveva perso quasi un chilo e mezzo
Pubblico, 25 ottobre 2012,
pag, 12
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