Professione padre


Cambiano i pannolini e accompagnano i figli a scuola. I nuovi padri stanno rivoluzionando la famiglia. E in Francia le aziende li agevolano

Il papà perfetto

di Maria Novella De Luca

Non è soltanto questione di pannolini, di lavatrici equamente divise, o di favole da leggere pazientemente la sera, finché non arriva il sonno, i bambini dormono, la luce si abbassa e in casa entra la quiete. È tutto questo, e molto di più. Nel nostro paese è in atto da tempo, silenziosamente, una rivoluzione della paternità. E dunque della coppia. In un sentiero che dalla asimmetria conduce alla simmetria. Perché c’è una generazione di uomini — hanno tra i 30 e i 35 anni, vivono nel Centro Nord, hanno buoni titoli di studio, compagne che lavorano e figli molto piccoli — che sta scoprendo e sperimentando giorno dopo giorno un nuovo modo paritario, interscambiabile, concreto e fisico di essere padri, e naturalmente mariti e compagni. Padri “high care”, collaborativi, partecipi, insomma quasi “perfetti”, così li ha definiti in uno studio appena pubblicato sull’Osservatorio Isfol una giovane sociologa, Tiziana Canal, ricercatrice all’università Carlos III di Madrid.
di Anais Ginori
  A settembre, quando le scuole stavano per riaprire, il direttore di Ernst&Young France ha inviato una email ai suoi dipendenti. «So che domani sarà un giorno importante per voi che siete padri. Sentitevi perciò autorizzati ad arrivare più tardi e andar via prima dall’ufficio, così da poter essere vicini alle vostre famiglie». Un pazzo? Un eroe? O forse solo un buon manager? È ormai una rivoluzione in corso,
fatta di piccole attenzioni e trasformazioni un tempo impensabili. Come Stéphane Longrais, dipendente di Renault, che per tre giorni a settimana lavora da casa, sbrigando anche le faccende domestiche. Oppure Bertrand Muller, del gruppo Areva, passato al part-time nel primo anno dopo la nascita del figlio, e Laurent Charon che ha  ottenuto dalla compagnia telefonica Sfr di stare con i figli ogni mercoledì, recuperando in altri momenti le ore perse. Anche loro degli eccentrici, dei fannulloni mascherati?

Professione padre

di Maria Novella De Luca

  Tacciando un vero e proprio identikit statistico di un genitore (maschio) che per la prima volta, nell’88% dei casi non soltanto gioca con i figli, ma li accompagna a scuola, li lava, li veste, cucina per loro, li accudisce insomma, in una simmetria di ruoli finora quasi sconosciuta in Italia. E poi comunque fa la spesa (68,3%), aiuta nelle faccende domestiche (37,5%) e ogni sera mette a letto i propri bambini (25%). Dati che a leggerli bene raccontano anche quanto sono cambiati i sentimenti e le leggi dell’amore all’interno di una coppia, e quanto, anche, l’esplosione dei canoni tradizionali del lavoro stia mutando per sempre la struttura delle giovani famiglie.
  «Se non c’è Veronica ci sono io, e se non ci sono io c’è Veronica — racconta Guido Forti, geologo con lavori a progetto, marito di Veronica, ricercatrice di Fisica — e soltanto così riusciamo ad occuparci, bene, di Guia, che ha 5 anni, e di Antonio che ha 24 mesi. Non ho mai pensato che i figli o la casa dovessero essere “appannaggio” di mia moglie, che in questa fase lavora e guadagna più di me. Occuparsi di Guia e Antonio è un lavoro da pazzi, senza baby sitter e con i nonni lontani, ma lo faccio fin dai loro primi giorni di vita, e per me è naturale. Questo non vuol dire che sia facile. Però è straordinario. E se non avessi vissuto le notti insonni e i cambi di pannolini, forse oggi non avrei questo rapporto così felice con i miei figli». Anche se, è il caso di dirlo, dietro questo cammino verso la “simmetria” che riguarda comunque in Italia una giovane avanguardia di coppie, c’è il costante, paziente e deciso lavoro delle donne. E questa è infatti la tesi dello studio “Paternità e cura familiare” di Tiziana Canal, che ha basato la sua indagine, e dunque il ritratto dei “padri high care” contrapposti ai “padri low care”, su seimila interviste a donne tra i 25 e i 45 anni. Dove ciò che emerge è che questi padri e mariti “high care”, sono prima di tutto compagni di donne che lavorano e hanno alti titoli di studio.
   «Mi sono sempre occupata dei temi del lavoro dalla parte delle donne, ma da tempo avevo la curiosità di affacciarmi sull’altro versante, capire perché sul fronte della paternità e della cura familiare gli uomini italiani siano spesso in fondo alle statistiche europee. Perché invece, ciò che credo — dice la sociologa Tiziana Canal — è che nelle giovani coppie molto stia cambiando, e quindi, sulla base dei racconti delle donne, ho provato a descrivere quando e come un uomo si può definire “high care”. E l’elemento più forte è che un padre è tanto più partecipe e collaborativo quanto più la sua compagna è impiegata a tempo pieno, ed è socialmente ed economicamente forte. E una spinta “culturale” in questo senso potrebbe darla la legge sul congedo di paternità obbligatorio che il ministro Fornero vorrebbe introdurre anche in Italia».
  Alessio A. si diverte molto a essere definito “padre high care”, anzi di sé dice, «se questo è il ritratto io sono davvero un padre perfetto». «Sono un po’ più vecchio del vostro identikit, ho 45 anni, e la paternità l’ho scoperta da adulto. Marisa e io siamo diventati genitori quando non ci speravamo più, due figli, Piero e Giorgio uno dietro l’altro. Un’esplosione di gioia, di vita e... di problemi. Marisa fa il medico, policlinico universitario, neuropsichiatria, notti, turni, guardie, io faccio l’architetto, ma il lavoro del mio studio andava male da tempo. Mi sono ritirato: oggi faccio il padre a tempo pieno e ogni tanto do una consulenza urbanistica. E Piero e Giorgio sono felici».
  Quello che infatti molti padri raccontano è la scoperta del rapporto fisico con i figli, quello che passa attraverso il bagno, il cibo, la notte, l’odore, le sensazioni. Perché se le coppie sono costrette oggi a inventare nuove organizzazioni familiari, «le uniche che permetteranno loro di avere dei figli», suggerisce Alessandro Rosina, demografo, questa inedita strategia di libertà permette ai padri di sperimentare ruoli a loro finora sconosciuti. Dice Giulia Galeotti, storica, autrice del saggio In cerca del padre: «Credo che questi “padri high care” appartengano a un gruppo sociale ancora residuale. Però, come scriveva l’Economista  alcuni mesi fa, i giovani padri che oggi si affacciano nel mondo del lavoro considerano la variabile della genitorialità. Proprio come da sempre fanno le madri. Ossia quando accettano o non accettano un impiego tengono conto anche di quanto potranno poi occuparsi o meno dei loro figli. E questo è davvero rivoluzionario». È quell’avvicinamento dei padri alle emozioni, come lo definisce Francesca Zajczyk, sociologa dell’università Bicocca di Milano, figlio anche del mutamento radicale dei canoni del lavoro nelle giovani coppie. «Oggi spesso i contratti sono semestrali, a volte addirittura mensili, oggi lei, domani lui, è fondamentale essere intercambiabili, le giovani famiglie sperimentano davvero un modo nuovo di essere, ma il contesto culturale, il “fuori” è invece ancora molto stereotipato, soprattutto sui modelli femminili. Le donne però — avverte Zajczyk — depositarie del potere della maternità, devono imparare a delegare e lasciare spazio ai padri e ai partner». Anche in quella fase primaria della vita di un bambino che le donne, spesso, tendono a tenere tutta per sé.

la Repubblica, 16 Febbraio 2012, pag. 49

Nessun commento:

Posta un commento