di Maurizio Tropeano
I volontari antiaborto del movimento Pro Vita
potranno operare all’interno dei consultori del Piemonte. Il Tar ha infatti giudicato
inammissibile il ricorso presentato dall’associazione Casa delle Donne e da un
gruppo di donne contro la seconda delibera voluta dalla giunta Cota che ha
deciso di aprire il percorso sanitario previsto dalla legge 194 alle
associazioni che difendono la vita e la famiglia. Il Tar, però, interpreta
anche il contenuto della delibera regionale e ammette la Casa delle Donne
all’interno delle strutture sanitarie previste dalla 194. Di fatto i giudici
amministrativi introducono una sorta di par condicio tra associazioni dal diverso
orientamento politico all’interno dei consultori.
Per il governatore leghista si tratta
comunque di una vittoria: «Il Tar ha nuovamente confermato la validità del
principio introdotto dalla mia giunta. Commento positivamente il fatto che il
nostro cammino in difesa della vita possa proseguire». Poi aggiunge:
«Francamente trovo insensato che ci sia gente che si sia opposta a un’iniziativa
che ha solo un valore positivo».
La Casa delle donne, ovviamente, non la pensa
così: «Dobbiamo constatare che per la seconda volta il Tar ha omesso di
pronunziarsi proprio su quelle censure che evidenziavano la radicale
illegittimità dell’ingerenza di chiunque nel percorso di interruzione
volontaria della gravidanza». L’associazione parla di una sentenza
«sconcertante». Rientra in questa definizione anche l’interpretazione estensiva
che i giudici amministrativi hanno dato del contenuto della legge che apre le
porte dei consultori anche alla Casa delle Donne: «Peccato che la ragione che
ci ha spinto a opporci alla delibera fosse quella di evitare che le donne,
soprattutto nel delicato momento di decidere se diventare madri o meno, siano
sottoposte a pressioni di qualsivoglia ideologia»
Ma il centrodestra non intende fare sconti.
Il Pdl (Augusta Montaruli e Gianluca Vignale) rilanciano: «Presenteremo un
emendamento alla finanziaria per garantire alle donne in difficoltà economiche
di non abortire e di accedere ad un fondo che permetta a loro di sostenere la gravidanza
e la crescita del figlio dopo la nascita con la sottoscrizione di un impegno a proseguire
la gravidanza».
La Stampa, 11 Febbraio 2012,
pag, 57
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