La parità dei sessi non esiste. Le donne devono fare le
mamme
Caro dott. Farrell, sono una ragazza di 34
anni, non ho un fidanzato e vivo serenamente la mia vita cercando di costruirmi
un appagante futuro professionale attraverso lo studio e la pratica lavorativa,
al contrario di molte ragazze della mia età che invece pensano di realizzarsi
solo mettendo su famiglia e vedono questo traguardo come l’unico e più
importante apice di una vita di sacrifici. Lei cosa pensa delle donne che
puntano alla carriera non curanti del «bisogno di crearsi una famiglia a fare
figli?». Lo ritiene un classico atteggiamento da emancipata donna di sinistra,
o è a favore della parità dei sessi?
Elisabetta,
Bologna
Cara Elisabetta, non sono né a favore né contro
la parità dei sessi per un semplice motivo: tale parità non esiste. Gli uomini e
le donne non possono mai essere pari perché sono diversi. Secondo, l’ossessione
patologica delle femministe per le “pari” opportunità non ha emancipato le
donne. Anzi, le ha schiavizzate. Terzo, non so come si chiama il pianeta dove tu
abiti, cara Elisabetta, ma non può essere la Terra. Dici: «Molte ragazze della
mia età invece pensano di realizzarsi solo mettendo su famiglia».
Non è vero. In Italia, il tasso di nascita è
il più basso del mondo (1,2 bambini per coppia). Dubito che la rossa Bologna, dove
abiti, sia un’isola di coppie con tanti figli. Chiaramente, la donna che lavora
al giorno d’oggi non è per definizione “di sinistra” ma diciamolo una vittima
di un’ideologia di sinistra. Il femminismo lo è però.
Guardiamo la realtà. Le conseguenze derivanti
dalla scesa in campo delle donne nel mondo lavorativo degli ultimi 40 anni sono
due: (1 le donne fanno pochissimi figli; (2 quei pochi figli soffrono per la
loro assenza.
Sì, i bambini soffrono. Lo vedo a casa mia.
Quando mia moglie esce da sola di casa i nostri quattro bambini (dagli otto anni
in giù) sono tristi. Ma lo dice anche la ricerca moderna. E se ne è resa conto
la gran parte delle post-femministe, se non in Italia, almeno negli Stati Uniti
e in Gran Bretagna. Di conseguenza, ormai ci stanno ripensando su tutto ciò che
le femministe degli anni 60 e 70 hanno predicato.
Una donna non può allo stesso tempo fare la madre
e lavorare. Se fa entrambi i ruoli come si deve, si trova inevitabilmente
sull’orlo di un esaurimento nervoso. Così,deve per forza alla fine affrontare
una crudele scelta, cioè: deve sacrificare sia il lavoro sia i bambini.
Lavorare e fare la mamma non è solo disumano ma
anche impossibile. Voglio dire: una donna che vede i suoi bambini per un’ora al
giorno non fa la madre.
Personalmente, non ho mai capito le
motivazioni delle donne, donne come te Elisabetta, che vogliono lavorare a
tutti i costi. La libertà, dite voi, la libertà economica e la libertà di
uscire di casa.
Ma chi è più libera in fin dei conti? Una
madre che rimane a casa con i suoi figli? Ola madre che lavora a catena in una
fabbrica di elettrodomestici dove col trapano inserisce viti in pezzi di
metallo o plastica, o taglia la testa pollo dopo pollo in un allevamento, o da
un call-center, telefono attaccato alla testa, rompe le scatole alla gente ogni
santo dì, ora dopo ora, cercando di vendere promotion «imperdibili»?
Elisabetta, secondo la mia umile opinione
maschile, la madre che rimane a casa e che fa tanti figli è più creativa di quella
che lavora e fa pochi figli. E sì, certo, è più emancipata pure.
Diciamolo: il lavoro, nella stragrande
maggioranza dei casi, è una noia totale ed è anche schiavitù. Qualsiasi persona
normale lo eviterebbe come la peste.
«Se non lavoro pure io non arriviamo alla
fine del mese», mi dicono le donne. E le vostre nonne, molto più povere di voi,
come campavano? E le tante musulmane in Italia che non lavorano e fanno tanti
figli?
Sei anche libera, of course, cara Elisabetta,
di fare come ti pare da donna “emancipata”, cioè: lavorare, lavorare, lavorare.
E basta.
Nicholas
Farrell
Libero,
11 settembre 2011, pag. 20
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