? Una bufala ormai scaduta»
Lo studioso nel suo nuovo libro smonta le tesi di ambientalisti e nutrizionisti
«Se tutta l’agricoltura fosse biologica, la fame nel mondo aumenterebbe
di Eleonora Barbieri
«Ecco, io farei questo esempio.
Le dighe dei castori o i termitai
hanno una complessità
avanzata, però li definiamo naturali.
Invece i manufatti umani,
per esempio stesse le dighe,
li consideriamo artificiali».
Perché?
«Appunto. Perché? Anche
l’homo sapiens appartiene alla
natura. E i biologi evoluzionisti
mostrano che ogni specie modifica
l’ambiente in cui vive.
Da decenni però esiste una religione
della natura, che le attribuisce
un’aura di sacralità per
cui ogni sua modifica è considerata
negativa».
Non è giusto difendere la
natura, secondo lei?«Ma a volte gli ambientalisti
diventano dei fondamentalisti
nella tutela della natura. Che
non è né buona né cattiva: è
sbagliato trasferire su di essa
valori umani. Si pensi alla sessualità»
Che cosa c’entra la sessualità?
«Beh, molte persone ritengono
che certi comportamenti
siano contro natura, ma che cosa
significa? Fra gli animali il
campionario è sconfinato, dalla
necrofilia alla pedofilia fino
al sesso con altre specie... Cose
che a noi ripugnano, però è assurdo
definirle contro natura».
Perché in natura ci sono.
«Questo per dire che il “naturale”
è un mito: ci sono tantissime
cose perfettamente naturali
e pericolose, dai veleni alle
tossine, perfino le malattie...
Che cosa c’è di più perfettamente
naturale di una malattia?»
Quindi, per rispondere alla
domanda che poi è il titolo
del suo libro, naturale non
è uguale a buono?
«È un mito privo di fondamento.
Ogni cosa va valutata
per quello che è, indipendentemente
dalla sua origine. Come
i prodotti biologici. Gli studi
scientifici mostrano che non offrono
vantaggi quanto a proprietà
nutrizionali e organolettiche
e a sicurezza».
Però alcuni difendono
l’agricoltura biologica perché
ha un impatto minore
sull’ambiente.
«È vero solo se ci si riferisce
all’unità di superficie agricola
coltivata; non se si considera
l’unità di prodotto ottenuto,
perché la resa per ettaro è inferiore. Se tutta l’agricoltura fosse
convertita al biologico, la fame
nel mondo aumenterebbe
a dismisura e il disboscamento
arriverebbe a livelli folli. Con
problemi ambientali enormi».
Però il biologico gode di
grande popolarità.
«Diciamo che è il lusso che
le società ricche possono permettersi.
E deve rimanere tale,
di nicchia, altrimenti non sarebbe
sostenibile».
E la sicurezza alimentare?
«È dimostrato che le percentuali
di pesticidi residui sui prodotti,
anche in quelli dell’agricoltura
tradizionale, sono minime
e non compromettono la
salute dei consumatori. Insomma
non ci sono vantaggi».
E gli additivi? I conservanti?
«Se non usassimo i conservanti,
i rischi per la salute sarebbero
molto maggiori. Si parla
tanto di quanto siano buone
la marmellata e la salsa fatte in
casa ma, senza competenze
adeguate, il rischio di contaminazioni
batteriche è alto, più
che a livello industriale».
Spesso anche dai supermercati
vengono ritirati prodotti
contaminati.
«Certo, l’errore o la frode sono
sempre in agguato. Però le
norme esistono, e gli organi di
controllo vigilano. Invece i prodotti
casalinghi non li controlla
nessuno. Ma poi, guardi, nessun
prodotto è naturale».
In che senso?
«Mele, arance, patate: tutto
quello che vediamo è frutto di
selezioni e modifiche fatte
dall’uomo nei secoli, attraverso
le tecniche agricole. Una
agricoltura naturale non esiste».
Tutto dipende da come si
modifica...
«Per millenni l’uomo ha selezionato
e modificato, ma in
modo grossolano. Oggi con tecniche
di ingegneria genetica
possiamo farlo più velocemente
e in maniera mirata. Molti
ne hanno paura, ma i risultati
dicono che i presunti rischi degli
ogm in realtà non esistono».
Ma lei non preferisce un
prodotto a chilometro zero
a uno ogm?
«Guardi, c’è una frase
che riporto nel libro, in
cui Carlo Petrini parla
dei peperoni astigiani sostituiti
dai tulipani olandesi,
lamentandosi della
perdita di prodotti tipici».
E non è un peccato?
«Ma anche i bambini
sanno che i peperoni sono
arrivati in Europa
dall’America, prima non
li coltivava nessuno. Parliamo
di una naturalità e
una tipicità totalmente
artificiose: sono solo ciò
a cui la gente è abituata».
Vale anche nell’ambito
della salute?
«Certo, si pensi al movimento
contro i vaccini.
È da scriteriati combatterli:
hanno aiutato a
salvare milioni di vite.
Se le percentuali di popolazione
vaccinata scendono
sotto certi limiti rischiamo il ritorno
di alcune malattie ormai
quasi debellate. Come la difterite
o il morbillo».
Ma i rischi delle vaccinazioni?
«Parliamo di effetti collaterali
noti e in percentuali irrisorie
di fronte a un beneficio enorme.
Per non parlare poi dei rischi
inventati di sana pianta,
come quelli sui legami fra il
vaccino trivalente e l’autismo:
una frode di un medico inglese,
poi radiato, che però ha ancora
effetti sull’immaginario
collettivo»
Ma perché il «naturale» ha
così presa?
«Penso che questi atteggiamenti
siano un lusso delle società
ricche e progredite. Se vivessimo
in condizioni più disagevoli
nessuno proporrebbe di
tornare all’agricoltura biologica
o di rifiutare i vaccini».
È colpa del benessere?
«Il fatto è che, quando abbiamo
il benessere, paradossalmente
si crea una diffidenza
verso ciò che l’ha creato, cioè
scienza e tecnologia. Ogni specie
cerca di difendere se stessa,
anche a danno delle altre. Noi
però, grazie alla scienza, siamo
capaci di prevedere gli effetti
sull’ambiente delle nostre scelte».
Quindi in certi casi sappiamo
che stiamo sbagliando?
«Sappiamo che alcune scelte
possono ritorcersi contro di
noi, se distruggiamo l’ambiente
in modo dissennato. Perciò
dobbiamo fare dei bilanci fra
rischi e benefici, però in modo
razionale, non fideistico o ideologico».
il Giornale, 1 febbraio 2016, pag, 22
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