“È troppo poco per i bimbi”
Italiani ultimi in Europa
nel divertimento coi figli
di Vera Schiavazzi
Giocare con i figli? È uno tra gli ultimi
pensieri dei genitori italiani, che lo fanno, in media, 15 minuti al giorno,
spesso soltanto di domenica. Prima, anche nelle due ore che non senza fatica si
riescono a passare con loro, c’è altro da fare: aiutarli nei compiti, accompagnarli
in piscina o a lezione d’inglese, trascinarli con sé al supermercato e alla
fine crollare sfiniti, con loro, sul divano davanti alla tv accesa. È il risultato
di una ricerca su un campione di 500 genitori, età media 39 anni, realizzato
dall’associazione Pepita in occasione della seconda Settimana del Gioco in
scatola, che dal 10 novembre per otto giorni coinvolgerà 300 Comuni italiani.
Ma lo studio non si è fermato alle “autocertificazioni” di padri e madri, e ha
incrociato le loro risposte con quelle di altrettanti bambini e ragazzi tra i 6
e i 13 anni. Si scopre così che nelle risposte degli adulti si nasconde anche
qualche bugia: il 16 per cento dei bambini del Nord, per esempio, si lamenta
perché i genitori “non giocano mai” insieme a loro, o lo fanno “quando possono”,
pochi minuti sparsi nel corso della giornata. Il 19 per cento degli adulti,
invece, aveva clamorosamente mentito:
“Gioco un’ora ogni giorno con i miei
figli”. Solo un genitore su 5, del resto, ritiene che giocare sia educativo. Un
grave errore, commenta Andrea Angiolino (che i giochi da tavola li disegna per
mestiere, e ha scritto con
Beniamino Sidoti il Dizionario che Zanichelli ha
dedicato al tema, catalogando oltre 1400 modi di intrattenersi insieme): «Solo giocando
davvero, e non al computer, è possibile trasmettere il senso delle regole e
sviluppare la fantasia». Monopoly, per esempio, forse il più diffuso, quello
che non manca mai in cima all’armadio, viene giocato diversamente in ciascuna
famiglia:
«Nessuno legge più le istruzioni — osserva Angelino — ma c’è sempre
un cugino, un genitore o un nonno pronto a spiegare “come si fa”. Anche alcuni videogiochi
sono belli, certo, ma hanno valore solo se giocati insieme davanti allo stesso schermo,
e non a distanza». Perché giocare è, anche, spiare la faccia della mamma o
dell’amichetto, cercare di intuire le prossime mosse degli avversari, farsi
scappare una battutaccia o complimentarsi con chi ti ha battuto. Ma i genitori
italiani non lo sanno, o lo sanno meno di altri: secondo la ricerca, in
Norvegia i minuti di gioco condiviso sono 30 al giorno, in Spagna 35, mentre da
noi solo il 23 per cento userebbe per giocare un’eventuale ora di tempo in più
a disposizione. Il 66 per cento dei genitori preferisce giocare all’aperto, il
42 ama anche i giochi di società e cerca di trasmetterne la passione ai figli,
ma per passare del tempo con i figli bisogna aspettare il weekend (lo dichiara
il 59 per cento del campione) e addirittura il 98 per cento spera che qualcun
altro lo sostituisca nel compito (nonni, amici o vicini di casa).
Un vero peccato, anche per gli adulti:
giocare, e farlo con le mani, con dadi, carte e pedine aiuta a mantenere la
memoria, previene la depressione e favorisce le relazioni sociali: per il 60
per cento, il bello dei giochi da tavolo e delle carte è che si possono “fare con
tutti”. E, sul punto, le opinioni di grandi e piccoli coincidono perfettamente.
La Repubblica, 1 novembre
2012, pag, 19
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