Rinascere insieme
In Italia si fanno sempre
meno figli e sempre più tardi. Sicurezza economica e welfare non bastano, serve
un cambiamento culturale
Le donne italiane decidono di avere il primo
figlio sempre più tardi, a un’età media di 31,4 anni. È quanto emerge
dall’indagine “Fenomeni di denatalità, gravidanza, parto e puerperio in
Italia”, realizzata dalla Commissione Igiene e Sanità del Senato. Al nostro
Paese spetta anche un primato europeo: un bambino su cinque sarebbe figlio di
una donna sopra i 40 anni. Così è decisamente basso il tasso di natalità, di
poco superiore a 1,34 figli a testa. All’origine di questo complesso fenomeno,
i percorsi di studio lunghi e articolati, le difficoltà economiche per il
raggiungimento dell’autonomia, gli scarsi supporti sociali, a cui si aggiunge,
in molti casi, il timore che la maternità possa ostacolare la carriera. I
numeri confermano. Il 45% delle donne
manager è convinto che avere figli abbia ostacolato “abbastanza” le
prospettive di crescita professionale, un altro 8% pensa che la maternità abbia
limitato il percorso lavorativo in “grande misura”. Certo, la tecnologia aiuta
la maggior parte delle donne in posizione di responsabilità a conciliare lavoro
e famiglia. Ma restano ancora poche quelle in grado di abbattere il “soffitto
di cristallo”, elegante metafora della barriera invisibile incontrata dalle
donne nei luoghi di lavoro, quando tentano di salire ai “piani alti”. Da qui,
la frustrazione, l’aggressività, il senso di impotenza comuni a un gran numero
di trentenni di oggi che, inevitabilmente rimandano la realizzazione del
proprio desiderio di maternità o talvolta vi rinunciano del tutto.
Come cambiare questo stato di cose? Forse
sicurezza economica e welfare, pur
necessari, non sono
sufficienti. Forse si dovrebbe puntare a un
cambiamento culturale più profondo, che aiuti le giovani a percepire la nascita
di un figlio non come un evento traumatico, ma rigenerante. Cominciando a
recuperare il significato simbolico, il valore sacrale (anche in senso laico),
che circondavano la maternità per le generazioni passate. Basti pensare al rito
dell’ostetrica che arrivava a casa, delle bacinelle d’acqua calda e dei panni
puliti e ordinati, del clima di fiducia e di affetto creato intorno alla
partoriente. Ciò non significa tornare indietro, rinunciando ai vantaggi di una
sanità evoluta. Vuol dire piuttosto non assolutizzare l’efficienza degli
operatori, dando più spazio alle relazioni umane, alla considerazione
comunitaria e sociale intorno alla donna. E soprattutto allentare la morsa
della fretta, concedendole il tempo necessario - prima, durante e dopo la
gravidanza - per interiorizzare questo momento cruciale della sua vita, il
tempo per sentire suo figlio crescere dentro di sé, il tempo per “rinascere” con
lui.
La Stampa, 11 novembre 2012,
pag,
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