I miti medievali servono ancora a grandi e piccini

di Franco Cardini  


  Cavallo, armatura, speroni e un grande cuore. Il sogno romantico della «gran bontà dei cavalieri antiqui» è una di quelle radici culturali che affondano più profondamente nell’humus mitopoietico dell’Occidente, e non solo. Abbiamo provato a farci spiegare il perché dal professor  Franco Cardini, che oltre a essere uno dei più brillanti medievisti italiani, si è appena cimentato in un compito non facile, soprattutto per un professionista dello storia: trasformare in una versione illustrata e per bambini il mastodontico corpus delle leggende arturiane (Storie di Re Artù e dei suoi cavalieri, Gallucci, pagg.120, euro 16,50, illustrazioni di Cecco Mariniello).

Professor Cardini perché il mito della cavalleria è intramontabile?

 «Perché come tutti i miti, cambia nel tempo. La nostra cultura è fatta di memoria ricostruita come spiegava Lucien Febvre. Non è che il nostro passato sia una sorta di memoria in conscia come credono gli atavisti ,delle radici in tangibili. Il “nostro” Medioevo cavalleresco e un po’ immaginario è figlio di Walter Scott, persino il Risorgimento italiano si è abbeverato dei suoi miti...E poi lo ha fatto Hollywood che ha creato l’immagine mentale dei cavalieri in calzamaglia, di cui siamo tutti un po’ vittime».

  In somma il Re Artù della nostra fantasia, e così i nostri cavalieri, vivono alla corte di Hollywood?

 «Non solo a Hollywood, tutti gli Stati Uniti sono permeati di miti medievali, di architetture neogotiche. I miti medievali pervadono l’intera cultura americana. Ovviamente è la loro versione ottocentesca e romantica
pesantemente rivisitata... Pensi a Disneyland... Il castello di Disneyland è il castello che più ha influenzato l’immaginario collettivo. Bene: è stato copiato dal castello di Neuschwanstein voluto da Ludovico di Baviera a metà  Ottocento... Un castello che di medievale non ha niente. Insomma la nostra vulgatavisiva sul Medio evo è la copia di una finzione scenica. La dice lunga...».

 E il ciclo arturiano da cui Lei ha tratto il libro?

  «Nasce nel XII secolo e diventa quasi subito una soap opera medievale... A sponsorizzarla furono i sovrani d’Inghilterra e duchi di Normandia. Gli serviva un mito fondativo  del loro dominio, quello romano e quello carolingio erano già occupati. Sene fecero uno su misura mescolando il folclore celtico con alcuni miti cristiani e le vicende di un condottiero gallo romano. Poi arrivo Chrétien de Troyes che diede il tocco finale con l’invenzione del Graal».

Ma in un corpus così esteso come ha scelto cosa raccontare a dei ragazzi?

  «Ho tralasciato molte parti e mi sono concentrato su alcune vicende specifiche. Le ho raccontate come le racconto ai miei nipoti e sfruttando in questo caso anche le potenzialità dei disegni fatti da Cecco Mariniello che nel tratto sembra un po’ un preraffaellita. Onestamente non mi dispiacerebbe fare una serie di libri raccontando anche quello che in questo ho omesso... Sono leggende bellissime, vive sin che le rinnoviamo».

il Giornale, 11 ottobre 2012, pag, 26

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