I neonati e il deficit di accudimento. La psicoterapia insegna a capirli

Le difficoltà dei genitori ad interpretare il disagio. È la sindrome di cui parla Moretti in «Habemus  papam»

di Silvia Vegetti Finzi

  Nel suo ultimo film, «Habemus Papam», il regista Nanni Moretti presenta con lieve ironia la figura, interpretata da Margherita Buy (sua moglie e collega nella sceneggiatura), di una psicoanalista nota per rinviare tutti i sintomi nevrotici alla medesima causa. Anche al Pontefice appena eletto, bloccato da un profondo senso di inadeguatezza di fronte a un incarico così impegnativo, diagnostica: «Penso che lei abbia sofferto di un deficit di accudimento primario».
  Rievoca questo episodio la psicoterapeuta Sara Micotti, responsabile scientifico del settore di Psicoterapia familiare del Centro Benedetta d’Intino Onlus di Milano, fondato e diretto da Cristina più recenti conoscenze sulle relazioni tra genitori e figli. Poiché gli artisti, come osserva Sigmund Freud, sono capaci di cogliere prima degli altri elementi di verità, quella sindrome, non solo esiste davvero, ma ora la si cura il più presto possibile.
  Tra i problemi più diffusi delle coppie di giovani genitori vi è infatti l’impreparazione con cui affrontano l’incontro con il nuovo nato. Cresciuti
spesso come figli unici, non hanno mai visto da vicino una creatura di pochi giorni e rimangono sconcertati dall’espressione impenetrabile del volto, dalla fragilità delle piccole membra e dalla incredibile forza delle pulsioni istintuali che le agitano. Eppure quell’esserino li ha uniti, ancor prima di nascere, nell’impresa di diventare padre e madre.

È significativo, in proposito, che l’Ospedale «Buzzi» di Milano, dove ha operato il grande psicoanalista Franco Fornari, abbia introdotto nelle cartelle cliniche dei neonati anche le ecografie del feto, immagini che i futuri genitori hanno visto e commentato con trepidazione. Ora il padre si sente già tale prima del parto, una mutazione antropologica di cui non sappiamo ancora cogliere tutte le conseguenze, ma che sta modificando profondamente le relazioni familiari.
  Di conseguenza, l’attenzione degli psicoterapeuti infantili, tradizionalmente concentrata sul rapporto tra la madre e il figlio, coinvolge ora anche i papà, altrettanto importanti nel creare il clima emotivo dell’attesa e del lieto evento. Perché possa accogliere con fiducia il nuovo nato la donna deve sentirsi contenuta dal partner, mentre l’uomo, per fargli spazio Nella mente e nel cuore, deve sentirsi riconosciuto da lei come padre.
  Ma, benché diffusa, la condivisione delle cure materne suscita ancora negli uomini sentimenti di inadeguatezza Per superare il timore di danneggiare un essere fragile e vulnerabile come il neonato hanno bisogno di essere incoraggiati e confermati. Vi è il rischio, altrimenti, che la loro insicurezza si trasmetta ai figli, che cresceranno timorosi di deludere e di sbagliare.
  Sino a poco tempo fa lo studio delle relazioni parentali si basava sulle comunicazioni verbali, ma da quando la sonda analitica è scesa sino a intercettare gli scambi che accadono nel periodo perinatale, i mesi che trascorrono prima e dopo il parto, le terapie sono diventate sempre più precoci, brevi e interattive. La psicoterapeuta infantile non si limita a curare il disagio del bambino ma prende in considerazione la rete di affetti e di pensieri in cui s’inscrive ancor prima di nascere. Sullo stato d’animo con cui i genitori lo accolgono si proiettano le ombre lunghe delle vicende personali, in particolare il modo con cui hanno vissuto l’infanzia ed elaborato i primi, inevitabili traumi.
  Talvolta madre e figlio rimangono così coinvolti nella indistinzione originaria che il padre si sente escluso dal loro legame. L’intervento consiste allora nel costruire una geometria della famiglia ove ognuno trovi il suo posto e veda riconosciuta la funzione che gli compete, sempre relativa a quella degli altri. Una volta stabilite le giuste distanze e chiariti gli equivoci, le energie vitali riprendono a scorrere nelle vene delle relazioni familiari.
  Le conoscenze acquisite sulle relazioni precoci suggeriscono, oltre ad anticipare l’intervento terapeutico, di prevenire il disagio infantile sostenendo, sin dall’attesa, i genitori in difficoltà. Non si tratta di ammaestrarli ma di sollecitare le loro potenzialità, di sensibilizzarli a cogliere e interpretare anche i segnali non linguistici.
  La prima mossa, nei confronti del neonato, consiste nel mutare la sua posizione: da oggetto delle proiezioni parentali a soggetto della sua vita, da «parlato» a «parlante». Considerarlo da subito una persona, non solo ne promuove l’evoluzione, ma aiuta i genitori a crescere con lui, insieme.

Che cos’è

di Paola D’Amico

 La definizione «Il deficit di accadimento primario è in realtà una definizione morettiana, in quanto non esiste in questi termini in letteratura, né esiste una teoria che riconduca le varie patologie a tale deficit», si legge sul sito della Società psicoanalitica italiana.

Nuovi passi

  Una definizione che però la psicoterapia ha fatto propria, riconoscendo che la sindrome non solo esiste, ma che la si può curare il più presto possibile, addirittura nella fase pre-verbale del bambino
 
Corriere della Sera, 21 maggio 2011 pag.45

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