Come parlo del cibo a mio figlio


I segreti? Raccontare storie sugli alimenti, suscitare la curiosità dei più piccoli

No a bibite gassate e attenzione alle calorie

Ma senza trasformare i divieti in desideri

Angela Frenda

  Mia mamma aveva risolto il problema: lo nascondeva. Sì, il barattolo di Nutella (di cui lei è ancora felice consumatrice) veniva puntualmente sepolto dietro libri, pacchi di pasta, pentole... Tutto, pur di non farlo trovare a me e mio fratello. Che invece passavamo interi pomeriggi impegnati in questa caccia al tesoro. E che da allora consideriamo la Nutella male assoluto e gratificazione suprema.

  Ma è questo il metodo giusto? Esiste una terza via tra il lassismo e il talebanismo dei genitori, in campo alimentare? Barbara Stuckey, gastronoma, ha raccontato sul blog del Wsj, «The Juggle», che persino Batman o Superman (talvolta) possono servire a convincere i bambini a mangiare sano. Lo ha dimostrato una ricerca dell’Università della Cornovaglia poi pubblicata recentemente sul giornale «Pediatric Obesity»: a 22 bambini tra i 6 e i 12 anni è stato chiesto in un campo estivo se volevano patate fritte o fette di mela. Il 45 percento ha scelto le mele dopo aver visto immagini di supereroi. Teorie... Ma resta il fatto che uno dei grandi dilemmi dei genitori è cosa far mangiare ai propri figli e, soprattutto, come parlare loro di cibo. E in questo settore, il rischio rigidità è dietro l’angolo.

  Lo sanno bene le cento mamme che hanno risposto a una ricerca del sito dei produttori di merendine
www.merendineitaliane.it: 1 su 3 si sente in colpa rispetto a quello che offre come merenda. E la metà di loro ne sovrastima il contenuto calorico. Mentre l’aspetto positivo, per loro, è che la merendina è porzionata, e dunque controllabile caloricamente. Francesco Morricone, responsabile Diabetologia e malattie metaboliche dell’Irccs Policlinico San Donato, interpreta così il fenomeno: «Prevale, tra i genitori, il concetto del: me lo chiede e dunque glielo dò. Nulla di più sbagliato. Vale su tutte, come regola base, usare il buon senso. Senza demonizzare. La merendina, talvolta, può anche essere usata, ma stando attenti a cosa contiene: quelle che apportano zuccheri semplici, cioè saccarosio e fruttosio, sono da evitare. Esiste uno studio pubblicato dal New England Journal of medicine che ci dice come le bevande zuccherate predispongano all’accumulo di grasso e all’obesità. Credo dunque che su questo punto si debba essere talebani: vanno evitate. Mentre all’interno dei prodotti preconfezionati spesso esistono molti grassi trans, tra i maggiori responsabili del grasso addominale, e dunque sarebbe sempre da preferire qualcosa di più naturale. Il tradizionale pane e marmellata, per intenderci». Ai genitori, secondo Morricone, «nella campagna alimentare che abbiamo fatto nelle scuole di San Donato, EAT, abbiamo spiegato l’importanza della famiglia e della scuola per far sì che i ragazzi non sviluppino un cattivo rapporto con il cibo. La pigrizia, a volte, danneggia».

  Per Chiara Cecilia Santamaria, mamma blogger (machedavvero.blogspot.it), l’esperienza è stata complicata: «Ho avuto una madre che mi nascondeva le merendine, e così per reazione a 15 anni mi sono scatenata. È sbagliato: ti porta a rendere il cibo una trasgressione. Per lo stesso motivo non sono d’accordo col cibo come gratificazione: se fai il bravo ti dò una merendina al cioccolato. Io alla mia bimba di 4 anni racconto molte storie sul cibo che deve mangiare. Tanti bambini non sanno per esempio che le patate crescono sotto terra. Dirglielo li incuriosisce e li spinge ad assaggiarle. La prova? Uno studio americano ha fatto un test su dei bambini delle medie: chiamando le carote "superpotere arancione" tutti le mangiavano. E poi serve anche cucinare insieme». Oggi, che Chiara vive a Londra, ha capito un’altra cosa: «Noi italiani mangiamo benissimo. Gli inglesi invece sono molto abituati al cibo confezionato e già pronto, alle merendine, alle patatine, ai ghiaccioli usati al posto della frutta... Una tragedia».

  E il pediatra Luca Ramenghi, direttore della Patologia neonatale dell’Ospedale pediatrico Gaslini di Genova, lancia una sfida: «Servirebbe un Carlin Petrini per i bambini, per innalzare la cultura del buon cibo infantile. E poi recuperare le tradizioni di una volta, tipo il pasto serale tutti insieme. Le abitudini si danno nei primi due, tre anni di vita del bambino, e la fase di massima curiosità è nei primi 12 mesi di vita. Dopo, si dovrebbe evitare di imboccarli ma lasciarli liberi di sperimentare. Personalmente, poi, credo sia da evitare l’uso smodato di merendine. Ma è anche vero che vietare è peggio. Meglio educare al buon cibo, con intelligenza».

Corriere della Sera, 27 ottobre 2012, pag, 49

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