I bambini imparano la grammatica
Fin dagli 8 mesi il loro cervello è capace di distinguere i suoni delle voci, di capirne le modalità di linguaggio usato e di farle proprie prima di cominciare a parlare
Magnetoencefalografia
Adesso
è riuscita a dimostrarlo: esaminando neonati di 7-11 mesi con uno
speciale modello di magnetoencefalografia messa a punto appositamente
per uno studio pubblicato su Pnas,
ha visto che fin da
quando hanno 8 mesi il loro cervello è capace di distinguere dagli
altri rumori i suoni delle voci, di capirne le modalità di
linguaggio usato e di farle proprie prima di cominciare a parlare. La
MEG, acronimo dell’inglese magnetoencephelography, è
una macchina di visualizzazione della stessa famiglia della famosa
TAC o della più recente risonanza magnetica, ma la sua minima
invasività e rapidità la rendono particolarmente adatta a studiare
il cervello dei bambini. Nata per scopi militari, delinea l’attività
del cervello a riposo e poi, in un solo minuto, ne segue l’attività
elettrica in risposta a un determinato stimolo, catturando una mappa
elettrica cerebrale ogni millisecondo: in confronto la risonanza
magnetica funzionale di ultima generazione non va oltre
un’acquisizione ogni tre secondi. In questo modo è stato possibile
osservare quasi in diretta cosa succede nei circuiti cerebrali dei
neonati, verificando che individuano i differenti suoni del
linguaggio già a 8 mesi, quando cioè il loro cervello comincia a
mettere a fuoco i suoni dell’ambiente che li circonda e li
organizza in schemi da utilizzare per quando sarà il momento di
parlare.
Strategie
innate
Verificato
con la MEG che per il neonato sentir parlare troppo in fretta è un
grosso problema perché non riesce a dividere bene le parole fra
loro, i ricercatori hanno provato a parlargli lentamente scandendo
bene le parole, come si fa solitamente con i bambini, e ha funzionato
perfettamente. In questo processo di schematizzazione ci sarebbero
addirittura delle “preferenze neuronali”: i circuiti si attivano
di più se a leggere una fiaba è la voce della mamma, piuttosto che
quella di un’altra donna. C’è anche una preferenza di lingua: a
9 mesi d’età negli americani i circuiti si attivano meglio se
sentono parlare inglese, negli olandesi se sentono parole olandesi.
Da questa scoperta deriva l’importanza di parlare al bambino il più
precocemente e il più facilmente possibile in modo da fornirgli le
basi logiche con cui costruire lo schema del suo linguaggio e, come
dicono gli autori, si dimostra anche che il cervello non è
una tabula rasa come pensava Skinner, né che il
bambino nasce “letterato”, come pensava Chomsky. Ciò che di
innato hanno i bambini sono le loro sorprendenti strategie di
apprendimento che noi adulti dobbiamo contribuire a far crescere e
che da sempre, in fondo, aiutiamo inconsciamente modificando il
linguaggio quando ci rivolgiamo a loro con la tipica intonazione che
usava Paolo Villaggio nel film «Senti chi parla», doppiando un bebè
che continuava simpaticamente a chiedersi come mai la gente gli
parlasse come se fosse un po’ scemo.
Corriere
Della Sera, 24 luglio 2014
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