E io le faccio partorire a casa


«Prima ancora di rimanere incinta, l’idea che il parto avvenisse in ospedale mi sembrava strana. Per me il ricovero è associato a una malattia. E la nascita di un figlio non lo è». Per Elena, 39 anni, partorire in casa era davvero importante  e per farlo - per ben due volte - si è dovuta industriare. Come tutte le donne che decidono di intraprendere questa strada, infatti, non ha ricevuto informazioni nei consultori o dal ginecologo, se le è cercate da sé. E si è scontrata con la burocrazia: nel Lazio, quando Elena ha partorito Martino e Alessio, nel 2007 e nel 2009, non c’era ancora la delibera che prevede un parziale rimborso della prestazione. 

  Ed è così ancora nella maggioranza delle regioni italiane: chi decide di non andare in ospedale deve pagare le ostetriche per l’assistenza, una cifra che invece il sistema sanitario si accollerebbe se la madre fosse ospedalizzata. La delibera della giunta Polverini che prevede il rimborso è del marzo 2011 e si aggiunge a quelle di Emilia Romagna, Marche, Piemonte e provincia di Trento. Per tutte le italiane che vivono altrove l’alternativa è mettere mano al portafogli.

  Ma partorire in casa è sicuro? È questa la domanda intorno a cui ruotano timori e resistenze. «Quello della
sicurezza è un problema sopravvalutato: le ostetriche sono le prime a non voler correre rischi e sanno capire se una donna è nelle condizioni "fisiche e psicologiche per affrontare il parto in casa», spiega Ivana Arena, ostetrica autrice di due libri sull’argomento (“Dopo un cesareo” e “La raccoglitrice di bambini”): «La decisione viene presa negli ultimi giorni  e non è detto che chi si prepara possa poi effettivamente farlo». Che le ostetriche abbiano tutte le competenze necessarie per garantire la sicurezza del parto lo dimostrano gli studi condotti in Olanda o nel Regno Unito, dove la nascita a casa è un fenomeno più diffuso: la mortalità perinatale, cioè il numero di bambini morti fra la ventiduesima settimana di gestazione e la prima dopo il parto, è simile sia per le nascite a domicilio sia per quelle in ospedale.

  In Italia, gli unici dati disponibili sugli esiti delle nascite domiciliari sono quelli della provincia di Trento, perfettamente in linea con gli studi internazionali. Tra i 135 nati fra il 2000 e il 2005 si è verificato un solo caso di nato pretermine (0,7 per cento contro il 7,3 dei nati in ospedale), certifica l’Osservatorio epidemiologico trentino. In più, le donne che partoriscono a domicilio effettuano in media più visite ostetriche prima del parto ma fanno meno ecografie, in linea con quelle che sono le linee guida internazionali sulla gravidanza. E allattano di più al seno. Merito del fatto che le ostetriche seguono madre e bambino anche immediatamente dopo la nascita.

L’Espresso, 1 novembre 2012, pag, 114

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