di Debora Bonvissuto
I l primo trapianto di cellule staminali da cordone
ombelicale è avvenuto nel 1988 ad opera di E. Gluckman la quale, in uno dei
suoi ultimi lavori (1), sottolinea come in Europa fino a oggi ben 596 trapianti
sono avvenuti tra consanguinei di cui ben 129 sono in Italia. Questo dato
indica che dall’Italia è stato eseguito il 21% della totalità dei trapianti avvenuti
in Europa. I campioni di cui sopra sono campioni conservati mediante «donazione
autologa dedicata» a spese del sistema sanitario nazionale poiché la famiglia
richiedente il servizio aveva già patologie al suo interno tali da
giustificarne la richiesta.
È lecito pensare però che i trapianti
sarebbero stati molti di più se si fossero considerate le famiglie che non
hanno né donato né conservato, perché disinformate o disincentivate, e che non
hanno avuto le stesse opportunità perché colte inaspettatamente da patologie
che non si sono manifestate con la giusta tempestività ma con un ritardo anche
solo di poche settimane. Il sangue del cordone nasconde un business che nel
caso delle aziende private è dichiarato, mentre nel caso del sistema pubblico
si cela dietro motivazioni di etica, solidarietà o accampate scusanti
pseudoscientifiche. Esiste tra gli atti di repertorio della Presidenza del
consiglio dei ministri, un documento(2) in cui si sottolinea che considerata,
tra altre necessità, anche la necessità di sostenere le iniziative delle
associazioni che promuovono la donazione, il costo di un campione di sangue cordonale
conservato in una banca pubblica per un trapianto in Italia è 17.000 euro.
Il costo di un campione italiano che viene trapiantato all’estero è più del doppio. Questo si può chiamare business? Questo può motivare gli esponenti delle varie associazioni che sostengono la donazione a svilire il valore scientifico della conservazione privata a ogni costo pur di non perdere quelle poche gestanti coscienti del valore terapeutico del loro sangue cordonale? l sistema pubblico non attua sufficienti iniziative di sensibilizzazione, di conseguenza le pochissime donne che si informano in modo autonomo sono merce preziosa da dissuadere in ogni modo dalla scelta di un servizio privato. Le aziende private hanno interesse nel fare cultura e informazione, ma molto spesso mettendo in atto un eccesso di strategie di marketing, finiscono per cadere nella poca aderenza del messaggio alla realtà scientifica. La donazione va incentivata con le giuste campagne d’informazione e le aziende private dovrebbero sostenere il proprio operato tramite la correttezza e la serietà del servizio. La validità reale, che hanno entrambe le pratiche, andrebbe propagandata con letteratura scientifica alla mano e non per interessi o opinioni personali, come solo i «veri» professionisti sanno fare. Chiunque si discosti da queste modalità non può ritenersi tale.
(1)"Family-directed umbilical cord blood banking"
Haematologica. 2011 Jul 12. (2) Repertorio Atti n. 1806 del 24
luglio 2003- Conferenza Stato Regioni, seduta del 24 luglio 2003.
di Licinio Contu
È imbarazzante contestare le affermazioni
della signora Bonvissuto poiché sono di una tale inconsistenza che si
contestano da sole. Ma, vediamole una alla volta. 1) I 129 campioni di sangue cordonale
trapiantati in Italia tra consanguinei, di cui riferisce E. Gluckman, sarebbero
«campioni conservati mediante donazione autologa dedicata». Evidentemente la
Bonvissuto interpreta a modo suo le leggi italiane sulla conservazione del
sangue del cordone ombelicale (Sco). Queste prevedono, oltreché la
conservazione di Sco donato per uso allogenico a fini solidali, tre tipi
diversi di conservazione dedicata del Sco: una dedicata al neonato (autologa)
con patologia in atto al momento della nascita; una dedicata ad un consanguineo
con patologia in atto al momento della raccolta del Sco o pregressa; e una
dedicata ai familiari nel caso di famiglie a rischio di avere figli affetti da
malattie genetiche per le quali sia indicato il trapianto di cellule staminali
emopoietiche da Sco.
Non esiste invece, ed è priva di senso, una conservazione
di Sco da donazione autologa dedicata a consanguinei del neonato. Questa è una
fattispecie inventata dalle banche private per dare una parvenza di utilità
alla conservazione autologa del Sco per eventuali usi futuri in bambini, che al
momento della nascita sono sani, e che hanno in media un rischio di ammalarsi
di una delle poche malattie in
cui è ammissibile il trapianto autologo di Sco,
di 0,001% nei primi 15 anni di vita. 2) Non esiste un business del sistema pubblico
sul Sco. È anche questa un’invenzione paradossale delle banche private per dare
giustificazione morale alla loro attività che è, questa sì, un business sul
corpo umano. In particolare le associazioni di volontariato, come la
Federazione italiana Adoces, non hanno alcun motivo né finanziario, né di altro
tipo, per promuovere la donazione pubblica del Sco, se non l’interesse dei
malati, il rispetto della verità, e la propria coscienza. a Federazione Adoces
non ha mai ricevuto contributi finanziari per le sue attività, né dallo Stato,
né da altri enti pubblici. Tutte le iniziative sono state sostenute finora solo
con risorse proprie (quote associative) e con pochissimi contributi privati. 3)
La nostra opposizione all’attività delle banche private si basa su dati
scientifici dei quali abbiamo fornito precisi riferimenti bibliografici. In
particolare: a) tutte le fattispecie di raccolta e conservazione del Sco utili
ai malati sono previste ed erogate gratuitamente dal Ssn; b) la sola
fattispecie non erogata dal Ssn (la conservazione del Sco di neonati sani per
eventuali trapianti autologhi futuri) e offerta a pagamento dalle banche private,
è praticamente inutile per i bambini donatori. Infatti, al 31.12.2010, su
900.000 unità di Sco conservate nelle banche private di tutto il mondo, solo 12
erano state utilizzate per trapianti autologhi. Riteniamo inoltre che la
conservazione privata del Sco sia eticamente inaccettabile poiché costituisce
una pericolosa apertura al commercio del corpo umano e crea una discriminazione
tra famiglie di livello economico differente.
Avvenire, 20
ottobre 2011, pag.2
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