di Lorenzo Schoepflin
La Corte di giustizia europea ha marcato un passo
importante per la difesa umana fin dal concepimento. È la stessa sentenza,
infatti, ad affermare che embrione umano è «qualunque ovulo umano fin dalla fecondazione».
Tra le molte reazioni ve ne sono alcune diametralmente opposte. Secondo Marco Cappato
e Filomena Gallo, dell’Associazione radicale Luca Coscioni, la sentenza cede
«alle pressioni di alcune organizzazioni religiose», ignora «i pareri del mondo
scientifico» e limita le prospettive della ricerca. Non la pensa così Greenpeace
Italia, che fa proprie le posizioni della sezione tedesca dell’associazione ambientalista,
promotrice del ricorso concluso con la vittoria. «La cellula non è un’invenzione,
la vita non è proprietà privata – ci dice Federica Ferrario, responsabile
campagna Ogm per Greenpeace Italia –. È questo il principio che ha spinto
Greenpeace a schierarsi contro la brevettabilità». L’associazione, prosegue Ferrario,
ha avuto il sostegno del mondo ambientalista, sulle ragioni dell’ecologismo ha
fondato il ricorso e non ha cercato sponde in nessun’altra area culturale. «Non
ci poniamo il quesito se la vita umana vada difesa o meno dal concepimento,
bensì il problema della ricerca sostenibile. È il brevetto che limita la
ricerca, poiché la subordina a ragioni commerciali e impedisce la libera
circolazione della conoscenza». Di fatto, il progresso scientifico diverrebbe
un bene a disposizione di chi può permettersi di comprarlo, a tutela unicamente
degli interessi delle case farmaceutiche.
La sentenza della Corte europea
di giustizia di martedì, che ha sancito il divieto di brevettabilità per l’utilizzo
di embrioni umani a fini industriali e commerciali, ha aperto un’essenziale
questione antropologica e giuridica: l’embrione è soggetto di diritto? «È talmente
vera la soggettività giuridica dell’embrione che è prevista in una specifica
norma nella direttiva europea del 1998», risponde Andrea Stazi, docente di Diritto
comparato presso l’Università europea di Roma. «La sentenza della Corte di Lussemburgo
fa riferimento a questa norma, e ci fornisce un’importantissima interpretazione
estensiva del concetto di embrione, includendo anche gli ovuli non fecondati quando
contengano un nucleo di cellule umane».
La Corte Ue interpreta il diritto comunitario
per assicurarsi che venga applicato nello stesso modo in tutti i Paesi
dell’Unione. Questo determina che la sentenza sia destinata a connotare in maniera
rilevante l’ordinamento comunitario. È facilmente prevedibile infatti che, pur
facendo riferimento nello specifico a questioni di brevettabilità, questa interpretazione
possa avere ricadute su altri temi. «La dottrina giuridica e i tribunali –
continua Stazi – dovranno riconsiderare la nozione di embrione alla luce di questa
posizione ufficiale della Corte di giustizia, che ha fissato con chiarezza
un’interpretazione autentica della norma». «L’interpretazione della Corte è destinata
ad avere un’efficacia veramente pervasiva, anche al di là del caso specifico»,
commenta Filippo Vari, professore straordinario di Diritto costituzionale. «Con
questa sentenza, veramente epocale, la Corte supera la visione fondata sul soggetto
di diritto, affermando che l’embrione è essere umano e come tale portatore
della dignità tipica degli esseri umani che è uno dei princìpi fondamentali e fondanti dell’Unione europea».
Ma non è tutto. Per Vari con questa decisione si sgombra anche il campo da
tutte quelle teorie capziose che volevano introdurre distinzioni tra le varie
fasi dell’embrione così da poterne giustificare l’utilizzo.
“E’ stata
riconosciuta continuità all’essere umano, arrivando fino alle sue primissime
fasi», spiega Alberto Gambino, ordinario di Diritto privato. «In questo modo, qualificando
in termini sempre più completi l’essere umano, se ne è ampliata la sfera di
protezione». Qual è la ratio della sentenza? «I brevetti sono
procedimenti legali per garantire l’esclusiva all’inventore di un nuovo
ritrovato o procedimento tecnico – continua Gambino –. Abbiamo quindi
chiaramente a che fare con cose, con applicazioni, non con soggetti, esseri
umani. Dire che non si può brevettare ciò che viene dalla vita significa
riconoscere che non sono cose, ma enti dotati di soggettività giuridica. Di qui
a dire che sono soggetti di diritto, quindi, il passo è breve».
Una parte consistente della dottrina
giuridica europea aveva già dimostrato una spiccata sensibilità verso la tutela
dell’embrione, ora ampiamente recepita dalla Corte. Non va però dimenticato che
questo riconoscimento non estende il divieto anche al fare ricerca utilizzando
o distruggendo embrioni umani ma vieta solo la brevettabilità dei risultati. La
decisione si pone come importante paletto per disincentivare le lobby farmaceutiche,
ma, più realisticamente, dirotterà gli investimenti verso quei Paesi che non
hanno un’opportuna normativa a tutela dell’embrione.
Molti anche ieri gli interventi dal mondo
politico e accademico. Mario Mauro, capogruppo Pdl al Parlamento europeo, ha
commentato che «sull’inviolabilità dell’embrione umano la Corte ha stabilito un
principio fondamentale nel rispetto di quello che dovrebbe essere un concetto etico
alla base della ricerca». Sulla stessa linea anche Domenico Di Virgilio, vicepresidente
dei deputati del Pdl, già presidente dell’Associazione medici cattolici
italiani: «Il riconoscimento della piena dignità dell’embrione umano è per noi medici
cattolici impegnati in politica fonte di estrema emozione e soddisfazione».
Adriano Pessina, direttore del Centro di Bioetica dell’Università Cattolica,
rileva come «il principio ha una grande portata simbolica oltre che una conseguenza
pratica: vietare lo sfruttamento significa ribadire che non contano soltanto i
risultati che si possono raggiungere, ma che è decisivo come vengono raggiunti».
Anche l’Osservatore Romano saluta la decisione della Corte come un fatto
positivo ed esprime l’auspicio che questo riconoscimento di diritti finora spesso
ignorati possa trovare conferme anche in altri ambiti.
Avvenire,
20 ottobre 2011, pag. 3
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