di
Valentina Arcovio
Tra
i Paesi a pagare il conto più salato primeggia l’Italia. Lo
denuncia uno studio realizzato dal Centre for Economics and Business
Research e commissionato dall’Isca, l’International Sport and
Culture Association. Si basa sull’analisi delle abitudini degli
europei e ha focalizzato l’attenzione su alcune nazioni, tra cui la
nostra.
Il
quadro che emerge è sconfortante. In Italia, infatti, un terzo degli
adulti non raggiunge i
livelli di attività fisica raccomandati
dall’Organizzazione mondiale della Sanità. In particolare, a
spiccare per pigrizia è il 38% delle donne e il 28% degli uomini.
Più poltroni di noi solo gli inglesi, con il 42% delle donne e il
32% degli uomini inattivi. Dati ancora più allarmanti sono quelli
che riguardano i giovani e i giovanissimi. Secondo l’Oms, infatti,
chi ha tra i cinque e i 17 anni dovrebbe svolgere almeno un’ora di
attività fisica al giorno per godere di buona salute. Ma la realtà
è che in Italia il 92% dei giovani dai 13 ai 15 anni non si avvicina
neanche lontanamente a questo traguardo (in Europa a preferire pc e
tablet invece delle scarpette da ginnastica è l’83% dei giovani).
Questa
pigrizia cronica è costata al nostro Paese ben 88.200 vite solo nel
2012. Morti, queste, prevenibili, se si fossero cambiati un po’ gli
stili di vita. E a pagare le conseguenze non è unicamente il
singolo, ma la collettività. L’abitudine a poltrire, infatti,
scatena una serie di sindromi e malattie che gravano sul welfare per
12 miliardi, equivalenti all’8,9% della spesa sanitaria, più di
quattro volte il bilancio di aiuti stranieri dell’Italia o più di
quattro volte la spesa sanitaria pubblica diretta per le patologie
legate al fumo.
Questo
spreco potrebbe essere evitato se le persone inattive adottassero una
serie di semplici cambiamenti nella loro quotidianità: il
consiglio-base consiste nel praticare più esercizio fisico nella
propria routine. E i benefici in termini di salute si vedrebbero
quasi immediatamente.
Il
motivo? Stare seduti troppo a lungo, in casa o al lavoro, costituisce
uno dei principali fattori di rischio di un consistente numero di
malattie: si va dalle patologie coronariche al diabete di tipo II,
fino al cancro colon-rettale e a quello al seno. Inoltre, la ricerca
dimostra che l’inattività favorisce lo sviluppo di molti disturbi
dell’umore, oltre che un significativo aumento dello stress e
dell’ansia.
Ecco
perché, accanto a questo quadro critico, sono state proposte delle
iniziative per incoraggiare le persone a muoversi. Punto di partenza
è il «minimo sindacale» di esercizio stabilito dall’Oms:
equivale a 150 minuti settimanali. Li si può «riempire» con
piccoli e semplici gesti: passeggiare un po’ più a lungo del
solito, scegliere le scale invece dell’ascensore, camminare a passo
più svelto. E questo è l’inizio. Ci sono tanti sport che si
possono praticare in città, con facilità e poca spesa. «Abbiamo
bisogno di muoverci di più - dice Mogens Kirkeby, presidente
dell’Isca -. Ed è davvero semplice come sembra. Quei pochi minuti
ogni giorno fanno una differenza enorme».
«Se
potessimo tagliare l’attuale livello di inattività fisica in
Europa anche solo di un quinto - aggiunge - salveremmo almeno 100
mila vite e risparmieremmo oltre 16 miliardi. Ogni anno». L’Isca
sta quindi conducendo una campagna che ha come obiettivo quello di
rendere 100 milioni di europei fisicamente più attivi entro il 2020.
L’idea di base è «rieducare» la sensibilità degli individui, in
modo non diverso da come è stato fatto per il fumo. Si spera che tra
una decina d’anni poltrire per ore sul divano diventi un’abitudine
impensabile. Come oggi è quella di accendersi una sigaretta in un
locale pubblico.
la
Stampa, 29 luglio 2015, pag, 30
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