di
Mauro Frisani Docente di Ottica e Optometria all’Università di
Torino
Domenico
Barrilà Psicoterapeuta, scrittore Analista Adleriano
Sa cosa che cosa chiedo ai pediatri dell’Oftalmico? Di prescrivere da una a due ore di gioco all’aperto ogni giorno. Poi dico loro che devono prescriverlo alle mamme, perché lo facciano i bambini». Mauro Frisani è docente all’Università di Torino di Ottica e Optometria e presenta un quadro allarmante per le generazioni future: i bambini di oggi - dice - saranno per almeno il 40% adulti miopi, e la percentuale aumenta nei Paesi asiatici. «Ci sono dati allarmanti che provengono da tutto il mondo - spiega -: in alcune zone del l’Asia si parla addirittura di epidemia di miopia. Tra vent’anni più della metà della popolazione dovrà indossare gli occhiali. Sono evidenze scientifiche, ma ancora
non conosciamo con precisione tutte le cause. Una di sicuro è che i bambini non giocano più all’aperto o giocano troppo poco». Due studi in questo senso sono stati pubblicati sulla rivista Ophtalmology, uno realizzato a Taiwan e l’altro in Danimarca, secondo i quali tutto dipenderebbe dalla produzione di dopamina, ormone che previene «l’occhio lungo», caratteristica dei miopi e che viene stimolato dalla luce naturale.
Lo
psicoterapeuta
I
cortili sono troppo silenziosi, i giardini orfani dei palloni, di
tricicli, biciclette e pattini a rotelle. Mentre aumentano
videogiochi e tablet chiusi nelle camerette è non è certo una
verità. «Chiedo ai medici dell’Oftalmico di prescrivere da una a
due ore di gioco all’aperto. E devono dirlo alle mamme perché lo
facciano i bambini. Ci sono evidenze scientifiche: i bimbi che stanno
di più all’aperto dimezzano il rischio dimettere gli occhiali»
Mauro Frisani Docente di Ottica e Optometria all’Università di
Torino «Se non si gioca all’esterno non si cresce nel rapporto con
gli altri. Il bambino con il gioco si prepara alle dinamiche di
quando sarà adulto. Così rischia di non essere pronto
all’empatia,al confronto con il dolore degli altri» Domenico
Barrilà Psicoterapeuta, scrittore Analista ad leriano merette, e non
è certo una novità. Ma a cosa porta tutto questo per i bambini? «A
cosa porterà tutti noi, non soltanto i bambini - sbotta Domenico
Barrilà, psicoterapeuta dell’età infantile -. I bambini con il
gioco all’aperto provano le dinamiche degli adulti, si mettono alla
prova: senza saranno adulti più insicuri e meno empatici».
Empatici? «I ruoli che inventano nel gioco fanno capire loro anche
il dolore degli altri, la paura, la morte. Se mancano queste
esperienze si resta immaturi, con conseguenze che purtroppo vediamo
bene nell’età adolescenziale. La tecnologia c’è e dobbiamo
conviverci, ma i genitori devono tornare a stare con i figli, anche
all’aperto».
Gli
studi
La
cameretta crea «danni» anche alle capacità fisiche, che emergono
prima di quelle psicologiche. Negli Stati Uniti dagli Anni 70 a oggi
la percentuale di miopi è raddoppiata, in Europa si è passati da un
quinto della popolazione al 35%. «Sono dati su tutta la popolazione
- dice Frisani -, diversi i numeri se ci concentriamo sull’età
evolutiva, è in quell’età che si legge un aumento di bambini con
gli occhiali che inizia a diventare preoccupante». Oculisti e
optometristi parlano di «epidemia di miopia». «Se si pensa che in
alcune popolazioni si sfiora o si supera l’80 % di persone miopi si
ha la dimensione del problema. C’è una componente genetica -
aggiunge ancora Frisani - se hai genitori miopi è probabile che
diventerai miope». Sempre colpa di tablet, tv e cellulari? «Molti
oculisti sostengono di sì - dice Frisani - ma il collegamento causa
effetto non è ancora stato ben dimostrato. Giocare all’aperto
però, siamo sicuri, fa bene alla vista, pequesto lo faccio
prescrivere».
Il
pediatra
«Sono
sempre un po’ scettico su studi di questo genere. Certo che se sto
tutto il giorno al computer e non faccio movimento ingrasso».
Giuseppe Ferrari, primario Emerito di Pediatria e Neonatologia
dell’Ospedale Mauriziano, ci tiene a sottolineare: «Il punto è
che non pensiamo mai al mondo dalla parte dei bambini. Obesi si
nasce, ma l’obesità è anche una malattia culturale: durante la
Seconda Guerra Mondiale non esistevano gli obesi, perché non c’era
cibo».
Quindi
mettiamo i bimbi a dieta? «Ma no! Fino a 8, 9 anni non serve. I
bambini fino a una certa età mangiano per vivere, poi soltanto se li
abituiamo male vivono per mangiare. Se non fossero gli adulti a dare
loro caramelle e cioccolato, loro non saprebbero cosa sono». Però,
diciamoci la verità, se i bambini stanno troppo davanti alla tv o al
computer ingrassano. «E’ chiaro che il sovrappeso si cura con
l’attività fisica, nutro dubbi invece sulla criminalizzazione dei
fast food, anche perché i bambini non li frequentano mica di loro
iniziativa. All’epoca delle Olimpiadi di Torino mi feci molti
nemici quando dissi che, con i soldi spesi si potevano fare più
piscine e palestre per i ragazzi, e avremmo avuto così meno giovani
obesi».
La
Stampa 11 marzo 2015, pag, 30
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