Come si cura la febbre nei bambini

Il primo nemico è la fretta di guarire

Se il bambino non è sofferente non occorre una terapia per far scendere la temperatura ma ci sono casi in cui la febbre deve preoccupare

 
  Le medicine non si danno per abbassare la febbre, ma solo, quando necessario, per alleviare il malessere del bambino. «Se il piccolo ha 39°C di febbre ma è tranquillo e gioca senza lamentarsi, non occorre nessuna terapia» dice Alberto Tozzi, pediatra dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma. «La febbre non è il nemico da combattere, ma una reazione dell’organismo per difendersi dalle infezioni
— conferma Marina Picca, presidente della Società Italiana delle Cure Primarie Pediatriche —. Va trattata solo quando rende il piccolo sofferente e irritabile, non lo lascia dormire o mangiare normalmente». I pediatri lo ripetono da anni, ma è difficile scalfire quella che è stata ribattezzata “febbre-fobia”, l’idea infondata che l’aumento della temperatura possa provocare danni cerebrali o altre conseguenze gravi. Inutile cercare di abbassarla con spugnature o altri mezzi fisici, che possono irritare ulteriormente il bambino. E se è vero che non va imbacuccato, anche spogliarlo per farlo raffreddare non serve.

   Le linee guida
  Tutto questo è ribadito anche dalle Linee guida del NICE, il National Institute for Health and Care Excellence britannico: «I due farmaci antipiretici autorizzati nei bambini sotto i sei anni, paracetamolo e ibuprofene, vanno usati per contrastare il malessere del bambino, e soltanto finché il malessere dura». Il rischio, altrimenti, è di fare più male che bene. «Anche attenendosi alle dosi consigliate è possibile superare nel corso della giornata la soglia di tossicità» mette in guardia Antonio Clavenna, farmacologo presso il Laboratorio per la salute materno infantile dell’Istituto Mario Negri di Milano. «Oppure, è possibile danneggiare il fegato se si prosegue con le dosi massime consentite per parecchi giorni — aggiunge Tozzi —. Le indicazioni del foglietto illustrativo che raccomandano un intervallo di 4-6 ore per il paracetamolo e di 6-8 ore per l’ibuprofene non vanno intese nel senso che dopo questo tempo si deve ridare il farmaco, ma solo che lo si può fare se il bambino è di nuovo sofferente». Viceversa, se il disagio non migliora dopo aver dato uno dei due medicinali, o torna prima che sia trascorso il tempo necessario per una seconda dose, gli esperti inglesi per la prima volta ammettono che si può provare a utilizzare l’altro. «Ma occorre farlo con cautela, — sottolinea Clavenna — perché in passato sono stati segnalati danni renali». «Inoltre questa alternanza espone al rischio di errori», dice Picca, che raccomanda di non dare comunque mai i due medicinali insieme. «Mai inoltre accorciare il tempo tra le due somministrazioni di uno stesso farmaco — consiglia il farmacologo — perché in questo modo, anche se la dose quotidiana totale resta nella norma, si possono raggiungere picchi di concentrazioni pericolose»

  Quando preoccuparsi con la febbre
  Nella maggior parte dei casi la febbre non deve preoccupare i genitori, perché rispecchia infezioni virali che passano da sole senza lasciare esiti, ma bisogna imparare a distinguere le situazioni in cui la febbre è dovuta a malattie più gravi, che invece richiedono qualche accertamento in più. Le Linee guida del NIC dicono che fino a sei mesi di età il livello della febbre è già da solo un campanello d’allarme, che richiede la valutazione del pediatra: «Nei bambini fino a tre mesi si accende a 38°C; in quelli fino a sei mesi a 39°C» raccomandano gli esperti britannici. «Oltre questa età, invece, il valore della temperatura, anche se è molto alto, da solo non basta a distinguere le situazioni da non sottovalutare: contano di più altri elementi, per esempio alterazioni dello stato di coscienza o delle interazioni del bambino con gli altri, anomalie gravi della respirazione o del colorito di pelle e mucose, rigidità del collo». Un nuovo elemento di cui le Linee guida britanniche raccomandano di tenere conto è la tachicardia. E precisano: se la frequenza cardiaca supera i 160 battiti al minuto sotto l’anno di età, i 150 tra uno e due anni e i 140 nei bambini più grandicelli, il rischio che si tratti di qualcosa di più serio di un semplice raffreddore aumenta. Se invece la febbre è molto alta, ma non ci sono segnali di allarme, potrebbe trattarsi di condizioni assolutamente benigne come la sesta malattia, che in tre giorni passa così come è venuta.

Il primo nemico è la fretta di guarire
  Quando il bambino ha l’influenza la fretta di guarire è però il nemico numero uno perché nel 5% dei casi si riammalano. Vietato quindi tornare subito a scuola, dunque. Per evitare ricadute, il consiglio dei medici dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma è di prendersi tutto il tempo che serve, perché «una buona convalescenza è la migliore terapia». Infatti, «subito dopo una malattia l’organismo è più vulnerabile e più facilmente aggredibile da germi che non farebbero danni in condizioni normali». Quindi «ammalarsi nuovamente accresce il rischio di avere sintomi più gravi». «Pertanto - spiega Alberto Villani, responsabile di Pediatria generale e Malattie infettive del Bambino Gesù -, una volta terminata la prima ondata di febbre, per non incorrere in nuovi episodi, è opportuno non avere fretta di tornare a pieno regime, ma, al termine dei sintomi, è bene stare tranquilli e a riposo per almeno 1-2 giorni».

Corriere Della Sera, 11 novembre 2014 

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